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Dybala, sogno frantumato dalla legge 91
Esattamente 35 anni fa, il 4 marzo 1981, il Senato approvò la legge numero 91, una norma dello Stato destinata a stravolgere in maniera epocale il mondo del calcio. Quella data segnò la fine di un'epopea, quella del cosiddetto “vincolo” e di un calcio antico che profumava di sentimenti, di ideali e di campanilismo, in cui i più grandi campioni molto spesso cominciavano e finivano la propria carriera nella stessa squadra, diventandone un simbolo che idealmente si associava anche allo stesso logo della società.
Tutto questo, a prescindere dall’importanza o dal ranking del club. Pensate al grandissimo Gigi Riva, detto “Rombo di Tuono” per la potenza devastante del suo tiro. Un cannoniere che oggi potremmo soltanto vagamente accostare a Cristiano Ronaldo o ad Ibrahimovic, capace di trascinare il Cagliari alla conquista di un fiabesco scudetto e la Nazionale alla finale di Messico 70 contro il mostruoso Brasile di Pelè. Nel calcio del “vincolo”, il Cagliari riuscì a non far mai svestire la maglia rossoblù al suo inimitabile fuoriclasse, nonostante tutti i grandi club fossero pronti a fare follie per averlo. Gigi Riva divenne così il portabandiera dell'emarginata Sardegna, un’isola meravigliosa che allora non era stata ancora scoperta dagli sceicchi e dal turismo dei grandi magnati industriali di tutto il mondo.
Una meravigliosa favola calcistica, purtroppo, non riproducibile oggi per tutto quanto ha causato nel calcio, in termini di diritto e di mentalità, la sconvolgente “Legge 91”. Provate ad immaginare se Dybala si fosse fermato tutta la carriera a giocare a Palermo, trascinando i rosanero fino alla conquista dello scudetto. Una leggenda che avrebbe costituito uno spot straordinario per la Sicilia e per il calcio. Anche se il presidentissimo Zamparini, in un momento di impetuosa euforia, avesse voluto far vivere ai siciliani questo sogno, non avrebbe mai potuto realizzarlo perché si sarebbe trovato, in due o tre anni, a cozzare contro il muro dei procuratori che, non facendo rinnovare il contratto al buon Paolo, lo avrebbero portato via dall’isola, lasciando tutti con un palmo di naso.
Per capire l’importanza di quanto il Senato approvò 35 anni fa, bisogna sapere che la Legge 91 stabilì, innanzitutto, che il calciatore sarebbe diventato un lavoratore subordinato, con gli stessi diritti di qualsiasi operaio o impiegato, in grado di stipulare un contratto a termine di massimo cinque anni, al termine del quale poteva ritenersi libero di sottoscriverne un altro anche con una squadra diversa. Tutto ciò soppiantava letteralmente il “vincolo sportivo” che, invece, permetteva, fino ad allora, alle società calcistiche, di mantenere il tesseramento e la proprietà dei calciatori anche dopo la scadenza del contratto, corrispondendo soltanto un minimo di stipendio, che per la Seria A era di circa un milione e mezzo di lire al mese (poco meno di 750 euro di oggi). In verità, la Legge 91 fu una conquista da parte dei calciatori, che fece seguito a più di un decennio di battaglie dell’indomabile e glaciale avvocato Sergio Campana, all’epoca presidente dell’Associazione Calciatori, caratterizzato anche da scioperi e proteste, culminato con un esposto che determinò l’arrivo dei finanzieri al calciomercato del Leonardo da Vinci di Milano, di cui abbiamo parlato in un precedente editoriale.
La Legge 91 andò pienamente in vigore dopo 5 anni, con il primo caso di Dario Bonetti che nel 1986 si svincolò dalla Roma per andare al Milan. In realtà si cominciò a fasce di età, con i giocatori ultratrentenni, per dare il tempo alle società di ammortizzare gradualmente gli ingenti valori del patrimonio giocatori che i club avevano potuto iscrivere a bilancio (a volte gonfiandoli ad arte) grazie all’esistenza del “vincolo sportivo”. Il 4 marzo 1981 rappresenta quindi una data spartiacque tra il calcio antico e quello moderno, fatto di cifre colossali per i giocatori e per i neonati agenti, avvantaggiati da una legge che i presidenti dell’epoca definirono un esproprio da parte di dipendenti miliardari. Il resto lo fece la sentenza Bosman del 1995, che abolì anche l’indennizzo minimo spettante alle Società, quando un calciatore si svincolava a fine contratto. Il cosiddetto “parametro”, che era proporzionale all’età ed al compenso del precedente accordo scaduto. In 35 anni la Legge 91 ha ridisegnato il calcio professionistico, quasi come fosse un peccato originale da cui si è generato un sistema perverso, fatto di promesse e tradimenti, di capricci e mal di pancia, di costi irragionevoli e annunciati fallimenti. Venivano così sconvolti i sogni e i sentimenti che, un anno dopo, gli eroi del calcio antico di Spagna ’82, da Zoff a Bruno Conti, avrebbero suscitato in tutti gli italiani, ancora ignari di tutto quello che stava per essere sottratto allo splendido romanzo del calcio di una volta.
Tutto questo, a prescindere dall’importanza o dal ranking del club. Pensate al grandissimo Gigi Riva, detto “Rombo di Tuono” per la potenza devastante del suo tiro. Un cannoniere che oggi potremmo soltanto vagamente accostare a Cristiano Ronaldo o ad Ibrahimovic, capace di trascinare il Cagliari alla conquista di un fiabesco scudetto e la Nazionale alla finale di Messico 70 contro il mostruoso Brasile di Pelè. Nel calcio del “vincolo”, il Cagliari riuscì a non far mai svestire la maglia rossoblù al suo inimitabile fuoriclasse, nonostante tutti i grandi club fossero pronti a fare follie per averlo. Gigi Riva divenne così il portabandiera dell'emarginata Sardegna, un’isola meravigliosa che allora non era stata ancora scoperta dagli sceicchi e dal turismo dei grandi magnati industriali di tutto il mondo.
Una meravigliosa favola calcistica, purtroppo, non riproducibile oggi per tutto quanto ha causato nel calcio, in termini di diritto e di mentalità, la sconvolgente “Legge 91”. Provate ad immaginare se Dybala si fosse fermato tutta la carriera a giocare a Palermo, trascinando i rosanero fino alla conquista dello scudetto. Una leggenda che avrebbe costituito uno spot straordinario per la Sicilia e per il calcio. Anche se il presidentissimo Zamparini, in un momento di impetuosa euforia, avesse voluto far vivere ai siciliani questo sogno, non avrebbe mai potuto realizzarlo perché si sarebbe trovato, in due o tre anni, a cozzare contro il muro dei procuratori che, non facendo rinnovare il contratto al buon Paolo, lo avrebbero portato via dall’isola, lasciando tutti con un palmo di naso.
Per capire l’importanza di quanto il Senato approvò 35 anni fa, bisogna sapere che la Legge 91 stabilì, innanzitutto, che il calciatore sarebbe diventato un lavoratore subordinato, con gli stessi diritti di qualsiasi operaio o impiegato, in grado di stipulare un contratto a termine di massimo cinque anni, al termine del quale poteva ritenersi libero di sottoscriverne un altro anche con una squadra diversa. Tutto ciò soppiantava letteralmente il “vincolo sportivo” che, invece, permetteva, fino ad allora, alle società calcistiche, di mantenere il tesseramento e la proprietà dei calciatori anche dopo la scadenza del contratto, corrispondendo soltanto un minimo di stipendio, che per la Seria A era di circa un milione e mezzo di lire al mese (poco meno di 750 euro di oggi). In verità, la Legge 91 fu una conquista da parte dei calciatori, che fece seguito a più di un decennio di battaglie dell’indomabile e glaciale avvocato Sergio Campana, all’epoca presidente dell’Associazione Calciatori, caratterizzato anche da scioperi e proteste, culminato con un esposto che determinò l’arrivo dei finanzieri al calciomercato del Leonardo da Vinci di Milano, di cui abbiamo parlato in un precedente editoriale.
La Legge 91 andò pienamente in vigore dopo 5 anni, con il primo caso di Dario Bonetti che nel 1986 si svincolò dalla Roma per andare al Milan. In realtà si cominciò a fasce di età, con i giocatori ultratrentenni, per dare il tempo alle società di ammortizzare gradualmente gli ingenti valori del patrimonio giocatori che i club avevano potuto iscrivere a bilancio (a volte gonfiandoli ad arte) grazie all’esistenza del “vincolo sportivo”. Il 4 marzo 1981 rappresenta quindi una data spartiacque tra il calcio antico e quello moderno, fatto di cifre colossali per i giocatori e per i neonati agenti, avvantaggiati da una legge che i presidenti dell’epoca definirono un esproprio da parte di dipendenti miliardari. Il resto lo fece la sentenza Bosman del 1995, che abolì anche l’indennizzo minimo spettante alle Società, quando un calciatore si svincolava a fine contratto. Il cosiddetto “parametro”, che era proporzionale all’età ed al compenso del precedente accordo scaduto. In 35 anni la Legge 91 ha ridisegnato il calcio professionistico, quasi come fosse un peccato originale da cui si è generato un sistema perverso, fatto di promesse e tradimenti, di capricci e mal di pancia, di costi irragionevoli e annunciati fallimenti. Venivano così sconvolti i sogni e i sentimenti che, un anno dopo, gli eroi del calcio antico di Spagna ’82, da Zoff a Bruno Conti, avrebbero suscitato in tutti gli italiani, ancora ignari di tutto quello che stava per essere sottratto allo splendido romanzo del calcio di una volta.