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Draghi 'Tottipiero': un po' Totti e un po' Del Piero, il campione che serve alla politica italiana
Invece se facessero la stessa domanda, passando dal calcio alla politica? Sempre tra gli italiani, all’inizio non saprei chi scegliere. Ci penserei un po’, colto dallo sconcerto nel giorno del Maxitavolo, con Fico cartaio e 5S che dicono “a noi Renzi è sempre piaciuto” e il senatore eletto a Scandicci annuncia la possibilità d’un nuovo governo a giorni. Certo è difficile, più difficile perché il tanto bistrattato calcio rispetto a quello della politica è uno spettacolo più “compos sui” direbbe un preside attempato o un vecchio giurista: più padrone di se stesso o con capacità d’intendere e volere più evidenti. E’ tutto relativo s’intende, ma basterebbe pensare a 75 anni di democrazia repubblicana che hanno campato su una settantina di governi. Poco più di uno all’anno, la durata d’un campionato. Basterebbe vedere come i vari sistemi elettorali italiani abbiano, sostanzialmente generato il medesimo pargolo: l’ingovernabilità. Ogni volta a ricominciare con un nuovo Presidente del Consiglio o con lo stesso, bino, trino, con nuovi ministri e sottosegretari e capi di gabinetto e Presidenti di commissioni, mentre la macchina amministrativa (autoreferenziale, guardinga, pletorica) dei vari Ministeri, Enti, Dipartimenti, Organi di rilievo costituzionale e non (il “Deep State” direbbero i repubblicani negli Stati Uniti) restava sempre la stessa, tarata sul medesimo principio dell’autoconservazione a scapito del... mondo.
Fa sorridere pensare che l’UE abbia pensato di elargire (tra fondo perduto e prestiti) all’Italia oltre 200 miliardi, ritenendo che ci fossero non solo idee, bensì programmi precisi su come spenderli: nelle infrastrutture digitali, nella tutela ambientale, nella riforma della Pubblica Amministrazione e della Giustizia…A due mesi dalla scadenza, il prossimo aprile, il programma per il Recovery Plan, infatti, non è ancora stato terminato, manca una gerarchia tra priorità, strumenti, ed entità delle proposte che non si capisce come verranno realizzate. Già: come verranno concretizzati gli obiettivi enunciati? Secondo la formula che ha davvero governato il Paese in quasi tutto il Duemila: “attraverso l’emanazione di atti”. Ovvero: quando il confine tra il tutto e il nulla si fa labile e si materializza una nuova ingessatura.
Chi ci vorrebbe per non restare triturati nel meccanismo di veti incrociati esponenziali con la scusa che “è la democrazia, bellezza!” oppure di semplificazioni truffaldine (“la colpa di tutto è dei migranti!”); per non disperdersi nei mille rivoli d’un parlamentarismo autoreferenziale duplicato in un federalismo spesso sprecone e non responsabile? Insomma per ritarare un po’ la bussola che ha perso il Nord, mentre la stella polare ha cessato di brillare?
Ci vorrebbe Draghi, con un governo - comitato di salute pubblica. Un tiranno illuminato e determinato che in Europa ha voce e sia sostenuto non dalla ragione, dall’abnegazione, dal coraggio anche dell’impopolarità, ma da un ricatto. Machiavellicamente da un ricatto: “dopo di me il diluvio”. Quindi o l’Italia corporativa si comincia a sfaldare (questo non si tocca, quello nemmeno, l’Alitalia ha bisogno d’un’iniezione di fiducia, l’ILVA anche...), si iniziano ad affrontare nodi strutturali (la prescrizione e i tempi dei processi, le infrastrutture, la pubblica amministrazione, il federalismo cialtrone, la riforma del fisco...) oppure si lascia tutto alla navigazione a vista (ter... quater...) nel mare dell’indecisionismo o ancora ci si affida a quelli che vogliono l’Italia fuori dall’Euro, con la doppia moneta come a Cuba (bizzarro quanto destra e sinistra spesso si amino) e già che ci siamo “senza pagare il debito pubblico” perché “non siamo forse padroni a casa nostra?”. Già, a pensarci bene, Draghi potrebbe essere un po’ il Tottipiero della nostra politica. Ma vero, reale, non un animale mitologico o immaginario, capace di cambiare finalmente gioco.