Diego non era Zidane, ma se ha fallito la colpa è solo della Juve
Diego rappresentava quindi il condottiero dal quale ripartire, l'alfiere simbolico che avrebbe dovuto prendere la pesante eredità degli stranieri più talentuosi nella storia bianconera, da Sivori a Zidane, passando per Platini. Sembravano esserci tutte le premesse per assistere all'ennesima storia di classe e fantasia in tinte bianconere. L'inizio fu anche promettentissimo, visto che il 30 Agosto del 2009, il brasiliano fu il protagonista assoluto del 3-1 all'Olimpico contro la Roma,con una doppietta che lasciò tutti senza fiato, visto che si tratto di due gol in cui si vide gran parte del suo repertorio. Dribbling, velocità, accelerazione, improvvisi cambi di direzione e soprattutto le due conclusioni a rete, semplicemente spettacolari e fuori dal comune, perché la prima fu un esterno destro carico di un effetto, di una precisione, ma anche di un controsenso dal punto di vista balistico, che lasciò di stucco tutti. Da quella posizione e distanza infatti, la cosa più logica da fare era il classico interno destro alla Del Piero e invece lui fece esattamente l'opposto. Il secondo gol invece fu su una precisa e improvvisa verticalizzazione di Iaquinta, con Diego che prende la palla punta il difensore avversario e spara un missile talmente preciso e potente, da far apparire il pallone molto più pesante di quanto in realtà non fosse.
L'esultanza che ne segui, con tutti i giocatori della Juve in corsa sotto il settore dei propri tifosi, sembrava essere l'inizio di una nuova gloriosa era juventina che aveva trovato in lui, il nuovo e indiscutibile condottiero... e invece fini tutto esattamente in quel momento, inspiegabilmente e assurdamente. Diego infatti si spense giornata dopo giornata, all'interno di una squadra, ma soprattutto di una società, che evidentemente non avevano ancora una visione del proprio futuro. Quella era la Juve di Jean Claude Blanc e non di Andrea Agnelli, era quindi una Juve che si illuse di poter creare dal nulla un progetto tecnico, fondato su un'eleganza di matrice francese, che però mal si coniugava con lo storico pragmatismo delle radici piemontesi di madama. Era soprattutto una Juve che pensò di poter replicare con Ferrara, la magia unica e irripetibile del rapporto tra il Barca di quegli anni e un tecnico ancora giovane come Guardiola, che aveva fatto parte della storia vincente del club.
Niente di più sbagliato! Quella Juve infatti ricordò per certe cose le antiche catastrofiche velleità che si videro ai tempi di Montezemolo, quando un'altra Juve di transizione, si mise in testa di copiare il calcio del Milan euromondiale del primo ciclo vincente di Sacchi e Berlusconi. Diego quindi, si perse ben presto all'interno di un contesto sul quale calarono le nebbie dell'improvvisazione e della mancanza di progettualità strategica di un club che evidentemente non aveva ancora idee ben chiare, ma che soprattutto si riappropriò della sua vera identità, solo quando l'anno successivo arrivò alla presidenza del club Andrea Agnelli. Rimane dunque ancora viva in molti tifosi bianconeri, la netta sensazione di aver assistito alla morte precoce di un talento che ebbe la colpa - se cosi si può dire - di arrivare alla Juve nel momento peggiore di tutti, e di non aver avuto la pazienza di provare almeno un altro anno, la stessa mancanza di pazienza che poi lo portò tra alti e bassi a spendersi in una carriera caratterizzata da compromessi al ribasso e che almeno all'inizio sembrava promettere ben altro. Peccato! Perchè il suo talento avrebbe meritato tremendamente di più.
@Dragomironero