Delio Rossi: 'I presidenti hanno troppe convinzioni erronee'
Delio Rossi, ex allenatore tra le altre di Lazio e Palermo, confida a corrieredellosport.it il motivo della rottura dei suoi rapporti con i biancazzurri. "Sono rimasto cinque anni, un periodo lungo per la media italiana. È stata un’esperienza bella e importante, alla quale sono legato. È finita per diversità di opinioni col presidente. Faccio una premessa: nel momento stesso in cui io lavoro per una società, so che io non sono il padrone di questa squadra, sono un dipendente. Devo portare avanti le idee della società; nel momento in cui firmo un contratto e l’accetto, so che devo allenare una squadra e cercare di fare meglio possibile. Ci fu uno screzio con il presidente perché noi superammo i gironi di qualificazione di Champions, pareggiando in casa e poi vincendo in Romania. Quindi passammo ai gironi di Champions, quelli importanti, e lì mi furono promessi dei rinforzi, necessari per affrontare degnamente quel torneo. Mi garantirono l’arrivo di quattro giocatori, non se ne vide neanche uno.. Prendemmo solo Vignaroli, svincolato dal Bari. E allora ho detto quello che pensavo al presidente, gli ho detto che quello che era successo non era giusto né corretto nei confronti dei tifosi, degli altri giocatori, del mio lavoro, della Lazio stessa. Fare una Champions League non all’altezza significava buttare via tutto il lavoro precedente. Ho esperienza e sapevo che nel momento in cui avevo espresso questo pensiero a quattr’occhi al presidente, la mia storia alla Lazio era finita. Poi la stagione successiva vincemmo la Coppa Italia. Mentre alzavo, con i miei giocatori, quella coppa tanto attesa sapevo che non sarei più stato l’allenatore della Lazio." E, continuando il suo racconto, svela anche il particolare rapporto che lo legava a Zamparini: "Non tutti i presidenti sono uguali. Zamparini è diverso da Lotito, è diverso da Aliberti, è diverso da tutti quelli che ho avuto. Hanno una caratteristica: dopo un po’ pensano tutti di capirci di calcio. Molte volte è vero, ma se io e lei vediamo una partita, la vediamo alla stessa maniera e magari concordiamo nell’individuare delle défaillances, delle difficoltà, dei difetti. La differenza è che, nel momento in cui lei ha visto queste mancanze, è finito il suo lavoro. Lì invece inizia il mio lavoro. Questa è la diversità. Molti pensano che sia facile, che basti fare questo o quest’altro. No, non è così, anche perché il calcio è come la scuola. Bisogna insegnare: uno pensa che partire da A e poi andare a C sia sempre un fatto graduale, lineare. Invece non è così perché parti da A poi vai a B ma poi ti sei dimenticato A e poi può darsi che C lo sai fare ma poi devi ritornare indietro. Il bello dell’insegnamento, dell’apprendimento è questo, è l’attenzione costante, perché se dai per scontato qualcosa, sbagli. Io alleno sempre come fosse la prima volta, anche se sono da quattro anni con una squadra, perché se non rinverdisci certi concetti con i giocatori, finisci con perderli. Invece i presidenti pensano in maniera erronea che un allenatore vale un altro e pensano che allenare sia facile. Non è così semplice. Per lo meno non è così schematico."