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    Del Piero illumina anche fuori dal campo: la vera crisi del calcio italiano e il timore dello scandalo scommesse

    Del Piero illumina anche fuori dal campo: la vera crisi del calcio italiano e il timore dello scandalo scommesse

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Intelligente in campo e fuori, Del Piero rilascia un'intervista magistrale a Veltroni sul “Corriere della Sera”. Fra l'altro fa capire molte cose sul calcio passato e su quello presente, utili a gettar luce sull'attuale stato dello sport nazionale. “Il calcio italiano è noioso” dice l'ex numero 10 della Juventus. E come dargli torto. Meno male che c'è il tifo perché le partite che non fanno sbadigliare saranno una su dieci, a essere generosi. E' vero che anche in Francia e Germania non se la passano molto meglio e che solo la Premier offre un buon spettacolo.
    Sempre e solo questione di soldi, di buona amministrazione, aggiungiamo noi? Non ne saremmo così sicuri. Basta domandare al qatariota Psg, gonfio di quattrini, ma mai sulla ribalta internazionale. E il Bayern, modello manageriale, in campo offre un gran bello spettacolo? Il calcio italiano è certo, al momento, il più confuso e ingarbugliato, ma Del Piero ci dice che è il calcio, in generale, ad essere cambiato. Non solo più fisicità e minor talento (in Italia c'è anche l'aggravante di una nevrosi da prestazione rovesciata sui giovani giocatori), bensì un vero e proprio cambio di fruizione. Si guardano le giocate, non le partite, si “zoommano” i particolari e si lascia stare la trama. Velocità, rapidità, finestre digitali da 10 secondi, Instagram, spezzettamenti, come se 90, 95 minuti fossero troppo noiosi da seguire, zeppi di tempi morti: il passaggio indietro al portiere, il fallo laterale, le palle perse, i falli...Tutto deve filare via liscio in un racconto perfetto fatto di goal, di giocate eclatanti, da figurine di videogiochi.

    Non è un caso che la Superlega sia stata il tentativo di rispondere (magari in modo sbagliato) ad una problema serio: la disaffezione delle giovani generazioni verso il calcio. Ci saranno ancora le famiglie sorridenti allo stadio, il padre tifoso che regala la maglia della sua squadra ai figli, ma la diserzione verso il calcio reale aumenta. Una dimensione non proprio aurea in cui il calcio italiano brilla ancor meno. Sul campo e fuori. Sul campo s'è visto a Wembley dove si sono rovesciati ruoli epocali: prima raggiungevamo il massimo risultato col minimo sforzo, oraraggiungiamo il minimo risultato col massimo sforzo. Domanda: il tanto agognato cambio di mentalità doveva avvenire proprio quando la squadra (non eccelsa) è in difficoltà per le qualificazioni europee?

    Che il prodotto calcio nazionale valga sempre meno s'è visto nell'asta per i diritti televisivi, chiusa con un nulla di fatto perché la Lega di Serie A non ha spuntato i prezzi sperati. Le preoccupazioni diventano, poi, paure se pensiamo alla tempesta delle scommesse abbatutasi sul campionato. Senza dar troppo peso al comunicatore selvaggio Corona, resta il fatto che tutti, comprensibilmente, tentano di mettere la sordina al fenomeno, oggetto d'un'indagine della magistratura. Per Gravina bisogna “stare accanto ai ragazzi”, la Juventus non ci pensa nemmeno a tirare qualche scappellotto a Fagioli, il Newcastle è addirittura orgoglioso di come “Sandro sta gestendo il problema”. Ed è chiaro: l'“aspetto umano non va mai dimenticato”, ma nemmeno quello dei numeri. Finché i calciatori “ludopatici” son due o tre, le società, la Federazione, la Procura possono comportarsi da bravi padri di famiglia. Ma se fossero qualche decina? Appunto: non possono, non devono esserlo, perché, allora, sarebbe l'opposto del “too big to fail”.
     

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