De Vecchi, 'il Figlio di Dio': per 24mila lire, fu la prima stella del calciomercato
PREDESTINATO - De Vecchi nasce a Milano nel 1894 e si può dire che sia un predestinato. Il padre, tifosissimo del Milan, già giovinetto lo iscrive nel 1908 nella squadra rossonera, sostenendone i costi. Il ragazzino promette bene, pare proprio portato per questo gioco strambo ma divertentissimo, eppoi al Milan cresce seguendo il maestro inglese Kilpin – nientemeno! - e a 15 anni esordisce in prima squadra, in un incontro di campionato contro l'Ausonia. Da quel momento non lo ferma più nessuno e a 16 anni, 3 mesi e 23 giorni esordisce con la Nazionale a Budapest, contro i professori ungheresi, dopo un viaggio travagliatissimo prima in terza classe sul treno per Venezia e da lì, traghetto per Trieste e poi ancora treno per Vienna ed infine Budapest. De Vecchi conquista fama, simpatie, prime pagine dei giornali giocando da terzino sinistro: particolare, questo, che fa capire quale sia stata la caratura di questo giocatore. Terzino sinistro di posizione con innato senso tattico, la sua classe è talmente cristallina da essere ancora oggi considerato uno dei maggiori interpreti italiani nel ruolo. Leggenda narra che durante una partita contro il Genoa, dopo un doppio miracoloso salvataggio in acrobazia un dirigente rossonero esclamò: “Ehi, ma quello è il figlio di Dio!”, ed oplà, ecco il soprannome che lo avrebbe accompagnato per tutta la carriera.
BANDIERA - Una bandiera di Milan e Genoa. La sua storia con il Milan si interrompe nel 1913, dopo 4 stagioni nelle quali gioca 64 partite realizzando 4 reti. Perchè si interrompe l'idillio con i rossoneri? Essenzialmente perchè il Milan – quel Milan, uscito mal ridotto dall'abbandono di quei soci che avrebbero successivamente fondato l'Internazionale – non può competere con il suo, pur recente, passato, ricco di trofei e ben tre titoli di campione d'Italia. Vero che proprio nel 1913 arriva Louis Van Hege ad impreziosire la rosa, ma è una squadra di bassa levatura, molto distante dalle compagini che in quegli anni dominano in Italia, Pro Vercelli su tutte. De Vecchi ce la mette tutta ma i risultati non arrivano. Almeno per la squadra. Perchè per lui è in arrivo il futuro. Futuro che ha le sembianze di Geo Davidson, presidente del Genoa che è intenzionato a riportare la sua squadra al vertice e per riuscirci vuole partire dal giovane italiano più forte, senza badare a spese. Il Genoa vuole a tutti i costi Renzo De Vecchi e per arrivarci il suo presidente è pronto a mettere sul piatto una cifra folle – o quasi – per quei tempi, pare ben 24.000 lire, ma nessuno sa con precisione. Si tratta pur sempre di un ingaggio faraonico, considerato che a quei tempi nel nord Italia lo stipendio di un operaio comune non superava le 3 lire al giorno.
LE REGOLE... - Peccato soltanto che ci sia un impedimento: le regole federali impediscono il trasferimento di giocatori da una squadra ad un'altra di città differenti se non per motivi di lavoro. Anche per una società facoltosa e – diciamo così – audace come il Genoa di allora è scoglio non superabile, ma i rossoblu sono società influente e riescono senza troppa difficoltà a raggiungere il loro obiettivo. De Vecchi a Milano lavora come impiegato presso un Istituto di credito, viene quindi assunto dalla Banca Commerciale Italiana a Genova, con un ritocco sostanzioso allo stipendio, in modo da permettere al Genoa di poterlo tesserare. La Federazione ci vuole vedere chiaro, non si fida di questo repentino cambio di posto di lavoro, ma non trova nulla di irregolare, nulla di illegale e avalla il trasferimento: Renzo De Vecchi diventa un giocatore del Genoa. E con il Genoa la carriera del “figlio di Dio” diventa leggendaria.
LA LEGGENDA - In rossoblu ci rimane per ben 17 stagioni, vincendo 3 campionati, mettendosi in luce per il suo tempismo negli interventi, amando giocare spesso d'anticipo, e per come sapeva comandare e guidare la difesa. Giocatore corretto, verrà espulso solo una volta in tutta la sua carriera, aveva una certa famigliarità con il goal – ne realizzerà in rossoblu una trentina – e con quel sinistro che si ritrova è pure abile rigorista.
La sua ultima partita la gioca nel 1928, poi passa ad allenare e in quella nuova veste riesce a portare i suoi ex compagni al secondo posto nel 1929/30. Quindi un altro anno sulla panchina del Brescia per poi dedicarsi esclusivamente alle giovanili del Rapallo Ruentes, mentre continua ad occuparsi di calcio di alto livello scrivendone per “Il Calcio Illustrato” sino all'alba degli anni'60.
Morirà nel 1967 ma il suo ricordo quello no, non è mai scomparso: uno dei primi autentici fuoriclasse del nostro calcio, talmente amato da venire ancora oggi considerato una bandiera non solo per il Genoa ma anche per il Milan!
(Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)