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Dalle battaglie per la Serie C allo scontro con Tavecchio: addio a Macalli, una vita dedicata al calcio di provincia
Nato a Milano, ma originario di Crema, la sua città, 84 anni, nato quando l'Europa si stava incendiando per la Seconda Guerra Mondiale, diplomato ragioniere, Macalli ha sempre lavorato come commercialista e poi come consulente del lavoro. E’ il 1977 l'anno in cui - dopo un'esperienza nel Pergocrema - entra nella direzione della Lega Serie C. Da allora ha scalato le gerarchie e vent'anni dopo (1997) è stato eletto per la prima volta, distinguendosi da allora per il carattere forte, talvolta ruvido e per essere un decisionista, sempre e comunque, scontrandosi - soprattutto negli ultimi tempi - con la FIGC. Le stesse dimissioni - arrivate nel 2015 - arrivarono dopo un duro confronto con Carlo Tavecchio, allora presidente FIGC, che spinse Macalli a fare un passo indietro. In ballo c'era la «mutualità» - ovvero un risarcimento economico - per i club meno abbienti della B e non deve stupire il fatto che fu esattamente questa questione a innescare la prima battaglia del primo Macalli, quello eletto nel 1997 che andò subito allo scontro con il presidente Luciano Nizzola. Macalli quindi - caso più unico che raro in Italia - presentò le dimissioni e quella rimase la ferita aperta di tutta una vita, disse, «dedicata al calcio». In realtà era stato messo spalle al muro: Macalli infatti era stato inibito per un caso inerente la registrazione dei marchi sportivi del Pergocrema, la sua città. La Procura Federale lo accusò di «essere venuto meno ai suoi doveri di imparzialità». Macalli replicò che gli era «stato gettato addosso del fango».
Nelle assemblee di Lega e nei corridoi del Potere del Calcio, Macalli si è sempre mosso con grande autorevolezza e non di rado i voti della Serie C hanno spostato l'ago della bilancia verso questo o quel candidato. Aveva un chiodo fisso: incentivare i vivai delle società grandi e piccole, affinché la Serie C diventasse il primo serbatoio della Serie A. Riteneva la ripartizione equa dei diritti televisivi una delle strade principali da percorrere, ma in questo caso venne quasi sempre rimpallato dai big dei grandi club. Nel 2011 fece anche causa alla Lega Serie A per non aver rispettato quanto stabilito dalla Legge Melandri sulla ripartizione dei diritti tv. Ma erano già tempi quelli di grandissime difficoltà e le società di Serie C fallivano con una frequenza mai vista.
La crisi economica nel 2010 spinse l'allora presidente FIGC Giancarlo Abete a studiare una riforma dei campionati per ridurre il numero delle squadre partecipanti e rendere più competitivo il torneo. Quando il CONI, con il presidente Gianni Petrucci, annunciò tagli per tutte le discipline sportive, solo Macalli - unica voce dissonante nel coro - gridò che era «una scelta folle». La denominazione Lega Pro è una sua invenzione, improntata alla voglia di modernità di un campionato che - in quel periodo - stava cercando di riformarsi e di connotarsi in maniera sempre più «local», riunendo l'Italia dei campanili. Macalli nel suo ultimo mandato pensava anche ad un ritorno ai gironi misti, ma l'idea non prese mai forma concreta. L'intero sistema-calcio si stava sgretolando e la Serie C - la Lega più fragile ed esposta allo schiaffo del vento contrario - pagava per prima. Società nobili, province pallonare che avevano conosciuto giorni di gloria, diventarono in breve tempo avamposti di gestioni cialtrone e criminali che - lo sappiamo bene - hanno lasciato solo macerie.