Dalla Uefa: 'Milan? Chi non rispetta il fair play pagherà. Il volountary può non essere concesso. Inter? Caso diverso'
Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Andrea Traverso, ufficialmente Managing director, Financial sustainability & research della Uefa, o più semplicemente il responsabile della gestione del Fair Play Finanziario, ha fatto un quadro completo della situazione attuale dei club italiani e non solo spiegando le differenze che ci sono fra i casi già in atto e quelli nuovi e lanciando un monito importante a chi, oggi, sta spendendo tanto come ad esempio il Milan.
SERVE COMPETITIVITA' - "Siamo soddisfatti del fair play. In questi anni abbiamo raggiunto risultati insperati: nel 2010 il calcio perdeva 1,7 miliardi, ora siamo sotto 300 milioni. Il sistema cresce, è sostenibile finanziariamente. Ma… Negli ultimi due anni qualcosa è imprevedibilmente cambiato. Ricchi sempre più ricchi e poveri. Il mondo va in quella direzione, il calcio non fa eccezione. Ma non è un’industria come le altre: serve competizione. Raggiunto l’obiettivo della sostenibilità, ora c’è quello della competizione nei tornei, della riduzione della forbice per dare equilibrio".
OCCHIO AL MILAN - "Il Milan non sarà un eccezione al fair play Uefa perchè nessun club gode di eccezioni, ma il fair play fa i controlli a posteriori. Non possiamo dire cosa fare e cosa no: ognuno è libero, poi ci sono conseguenze. Certo il Milan non può fare quello che vuole: se compra è perché prevede un rientro. Il voluntary è per nuovi azionisti: 4 anni per sistemare i conti invece di 3. Le società devono muoversi sulla strada del risanamento. Se vanno all’opposto, l’Uefa farà le valutazioni. Se non ci sono le condizioni il voluntary può non essere concesso. Non conosciamo i conti nel dettaglio perché trasferimenti andranno a bilancio nel 2018».
LA DIFFERENZA CON L'INTER - "Capisco sia una situazione difficile da spiegare per le differenze fra Inter e Milan. Ma una, il Milan, non era nelle coppe e quindi non era soggetta al fair play, l’altra, l’Inter, sì. Poi quando ti qualifichi devi rispettare le regole. Il mercato non è finito, le somme si tirano alla fine".
LE ALTRE - "Dal punto di vista del fair play, bene. Dal punto di vista gestionale, della società intendo, alcune potrebbero andar meglio e generare più ricavi, in particolare quelli da stadio".
NON SOLO NEYMAR - "Il calcio cresce del 10% annuo. Tutti si fanno incantare dalle cifre per Neymar, ma i ricavi di questi club sono aumentati e, si presume, abbiano fatto i conti giusti per spendere. È in pericolo la competitività. Se il trend si aggrava, se i club che possono vincere sono sempre meno, alla lunga calano i ricavi. Ma la competitività deve cominciare nei campionati".
MODELLA USA, LUXURY TAX E SALARY CAP - "Negli Usa esistono tre principi di sostenibilità: norme sportive, finanziarie e redistribuzione dei ricavi. Possiamo adattarle al nostro sistema profondamente diverso. Salary cap, luxury tax, siano hard o soft, possono aggiungersi al fair play che resterà. Impossibile mutuare il first draft, la prima scelta per le piccole nel mercato. Ma ci sono altre misure: tetti alle rose e anche nei campionati, numero massimo di trasferimenti per mercato, limiti ai prestiti, spese per acquisti cui corrispondano uguali entrate… La redistribuzione non è semplice perché negli Usa i diritti sono centralizzati, qui solo nella Champions".
CITY E REAL POSSONO SPENDERE - "Il Manchester City e Psg hanno rispettato l’accordo: hanno ricavi enormi, possono agire, vedi il City. Le regole sono uguali per tutti. Se un club acquista, presumiamo abbia fatto i conti. In caso, sarà punito. Ma non possiamo impedire di comprare".
NO AI FINTI PRESTITI - "Se un club cinese si prestasse un giocatore in Europa noi daremmo al giocatore il suo vero valore, non quello finto del prestito. Non si può fare, non è successo mai, e i club lo sanno".
L'ITALIA INDIETRO - "Non è questione di sceicchi, è che ci sono mercati che dieci anni fa hanno investito e mercati senza visione che ora sono in difficoltà. Le tv pagano alla Premier 3,3 miliardi. L’Italia è cresciuta più lentamente di Inghilterra, Germania, Spagna. Se prevalgono logiche individuali, se non si fa il salto di qualità delegando a un manager gli obiettivi, il sistema non va".