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    Inter, ora la società aiuti Mancini

    Inter, ora la società aiuti Mancini

    • Michele Dalai
    Scrivere di calcio senza conoscere i fatti del campo e dello spogliatoio è sempre un azzardo. I fatti del campo non sono quelli leggibili da milioni di commissari tecnici seduti su milioni di divani ma piuttosto la somma di tutte le variabili che solo chi ha giocato o allenato a un livello non miserabile può apprezzare. I fatti dello spogliatoio sono l’unico segreto tollerabile di questo calcio fatto di mezze omertà, contengono verità inaccessibili sugli umori di chi gioca e allena. La premessa è necessaria perché giudicare l’Inter di quest’ultimo mese e più in generale la squadra costruita da Mancini con il beneplacito della società (o di quel che resta della società), non è semplice e forse entrare nella mente dell’allenatore aiuterebbe. A settembre, deriso e sbeffeggiato dai più, scrivevo che l’Inter non aveva identità e che la ricerca di un gioco era un lusso che forse quest’anno non ci si poteva permettere. Sbagliavo, ma per difetto. Mancini è un allenatore carismatico, capace di coprire i vuoti. All’Inter i vuoti sono tanti, la fase di cambiamento è ancora lunga e da una struttura piena di doppioni ora si è passati a una serie di funzioni accorpate e non rappresentate al meglio. Nel dubbio, decide Mancini. C’è qualcosa di complesso e poco logico nella crisi dell’Inter di questo gennaio orribile, un malanno non stagionale. Roberto Mancini sembra oggi un uomo solo, in cerca di nemici visibili e invisibili, incapace di trovare pace e serenità e quindi di trasmetterla alla squadra. La proprietà gli ha delegato la guida tecnica e quella spirituale dell’azienda, riservandosi le funzioni di marketing e amministrazione, solo che si è dimenticata di costruire un ruolo fondamentale, quello del controllore.

    Saltato l’improbabile Fassone, Mancini si è trovato solo al comando e poi solo e basta, senza limiti e senza paracaduteLa nevrosi da mercato, i giocatori corteggiati, voluti e poi cacciati a pedate, il vortice di schemi e uomini, l’impressione è quella di un pasticcio a lungo mascherato dalla fila infinita di uno a zero e di prestazioni mostruose di Handanovic (che si è rimesso in pari con gli ultimi due anni davvero orribili), la tentazione fortissima di rispondere alle critiche sul gioco spezzando l’equilibro quasi naturale che si era creato in campo. L’Inter prima del diluvio era una squadra granitica, implacabile, noiosa ma efficace. Nel calcio moderno se non sai fare tutto devi specializzarti in una cosa e mandarla a memoria, farne un valore. Il Milan di ieri sera per esempio è una squadra che sta imparando a conoscere i propri limiti e a esplorare le qualità. Lotta, corsa e contropiede sono armi che Mihajlovic sta proponendo e riproponendo alla nausea, finché anche i meno dotati tra i suoi non manderanno a memoria la lezione. Certo è strano vedere il Milan che rinuncia al possesso palla e verticalizza continuamente, ma il calcio è spietato. Di nuovo, se non sai fare tutto impara a fare bene qualcosa. L’Inter teneva la palla come atteggiamento difensivo, rischiava poco e quando rischiava veniva regolarmente miracolata da Handanovic, che ha la grave colpa (chiamiamola così), di aver camuffato la stagione di Miranda e Murillo un po’ troppo a lungo. Forte Miranda, drammaticamente sopravvalutato Murillo. Ma funzionava, il centrocampo operaio filtrava palloni e li ripuliva in continuazione, gli esterni facevano timidamente il loro. Poi dev’essere successo qualcosa e purtroppo o per fortuna non ne conosciamo le ragioni profonde, se ci sono. Il sospetto è che Mancini abbia voluto uscire dalla sua comfort zone e cercare di convincere gli scettici della bontà del suo progetto tattico. Non più una squadra che vince speculando sulle fragilità altrui ma una squadra che cresce e costruisce gioco, che dà spettacolo e impone la propria superiorità tecnica. Una catastrofe. Ci sono certo delle giustificazioni e non sono piccole. Il linguaggio del corpo condanna implacabilmente alcuni dei giocatori più attesi di questa strana Inter di gennaio. Jovetic non corre, non aiuta e spesso dà l’impressione di voler mettere in difficoltà i compagni per non sfigurare, un gioco al ribasso che è tanto pericoloso quanto poco dignitoso. Brozovic è discontinuo e irritante, Ljajic inaffidabile nel lungo e Icardi depresso e svogliato, forse anche perché regolarmente emarginato dagli schemi d’attacco. Poi c’è il carattere ingestibile di Melo, ci sono i limiti fisici di Medel e l’andatura stralunata di Kondogbia, ci sono i misteri di Nagatomo, giocatore da serie minori con limiti tattici incredibili ma che continua a scendere in campo e a smontare i meccanismi difensivi sommando errori a errori. Insomma ci sono i giocatori, quelli stessi di cui Mancini dice che non valgono lui nemmeno a 50 anni. I singoli non contano quando il combinato disposto tra vizi e le virtù funziona, ma ora sembra che all’improvviso manchi tutto. Manca la corsa, squagliata al solito sotto il sole di Doha (possibile che per incassare un milione di euro si scelga di mettere a repentaglio la preparazione e quindi si rischi di rinunciare ai 40 della Champions League?), manca la voglia (di alcuni di quelli citati sopra), e forse in questo momento manca la presenza di spirito di uno dei migliori allenatori italiani, furibondo e nervoso, troppo reattivo e poco lucido nella comunicazione

    Due settimane fa l’Inter ha vinto a Napoli giocando da Inter. Questa squadra deve rimanere concentrata e lottare, sempre, solo così può competere. Non tutto è perso, a patto che si ritrovi un po’ di umiltà, che qualcuno sollevi Mancini dal cumulo di responsabilità e lo aiuti, a patto che alcuni giocatori vengano utilizzati per quello che possono dare e non per quello che non daranno mai. La partita di ieri sera poteva finire in un altro modo, nel primo tempo potevano succedere altre cose e forse ci son state valutazioni arbitrali che hanno penalizzato l’Inter, può essere. Continuo e continuerò ostinatamente a considerare gli errori arbitrali come una parte del gioco e a non investirli di un ruolo gravissimo e drammatico, il complottismo è noioso giustifica altre carenze. Ma dopo e prima dell’errore di Icardi, del rigore sbagliato, il Milan aveva comunque messo in campo una voglia diversa, grinta e consapevolezza dei propri limiti. 6 gol in pochi giorni, 6 gol dalle rivali di sempre possono ferire e anche molto, ma la differenza sostanziale sta nella reazione. Ci sono ancora ottime possibilità che l’Inter centri l’obiettivo di stagione e tutto sta nella ricetta che si sceglierà per curare questa crisi brutta, triste e abbastanza inattesa. Di certo Mancini può fare di meglio, molto meglio, ma altrettanto può fare la società, tutelandolo e impedendogli di parlare quando sarebbe meglio riflettere, costruendo finalmente una rete di protezione che contenga questo nervosismo che non alla lunga ma da subito è controproducente. Serve solidità fuori, nelle stanze e negli uffici, per ritrovare quella in campo. Le sconfitte fanno male solo se non educano alla vittoria. 

    @micheledalai

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