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    Dagli ultras un messaggio di pace per l’Europa in guerra

    Dagli ultras un messaggio di pace per l’Europa in guerra

    • Marco Bernardini
    Da ieri pomeriggio tutti i tifosi del calcio italiano hanno ben chiara l’agenda ufficiale che consentirà loro di programmare ogni spostamento per seguire la squadra del cuore nelle varie tappe del lungo tour di campionato. Ieri, per l’ennesima e sciagurata volta nel giro di pochi mesi, in una delle città più importanti e più famose d’Europa, un nuovo atto di follia terroristica è stato consumato costringendo la cronaca a raccontare di innocenti morti ammazzati tra i quali troppi bambini.

    La mappa e la strategia della paura e dell’assassinio premeditato sono ormai ben conosciute da tutti. Gli obiettivi di queste belve impazzite non sono i governanti, i potenti, le figure emblematiche del “sistema occidentale”, i difensori dell’ordine come militari e poliziotti. Le vittime designate siamo noi, cittadini della strada e passanti di tutti i giorni le cui sane abitudini ci portano a ritrovarci quotidianamente nel luoghi della modesta felicità individuale rappresentata dai caffè, dalle sale cinematografiche, dalle discoteche, dai centri commerciali, dagli stadi. I nostri piccoli “templi” laici nei quali, fino a ieri, avevamo l’opportunità di trascorrere qualche ora fingendo che questo sia ancora un mondo accettabilmente normale.

    La nuova strage di Monaco di Baviera, dopo quelle di “Charlie Hebdo” e del “Bataclan” a Parigi e dell’aeroporto di Bruxelles e del resort a Dacca e della “Promenade” di Nizza, ci confermano che non è più così e che proprio i luoghi di riunione popolare apparentemente più “innocenti” sono diventati i più pericolosi. La ragione, dunque, ci potrebbe portare da ora in avanti a disertare il più possibile quei posti dove, da un momento all’altro, puoi saltare in aria o essere colpito da un proiettile di mitra. La dignità umana e civile, invece, si ribella a questo tipo di logica perversa della fuga e del nascondiglio. La libertà, in senso ampio, non è mai figlia della limitazione dei diritti sui quali è fondata quella stessa libertà. Come cantava Giorgio Gaber la libertà, soprattutto, è partecipazione. La partecipazione è la possibilità di stare insieme, possibilmente in maniera costruttiva. Anche dentro gli stadi del nostro calcio e di ciascun altro sport.

    Ecco perché alla vigilia di tutti i campionati che stanno per cominciare in Europa trovo sacrosanto lanciare un appello, con il cuore credetemi, a tutti i tifosi e, in particolare, a quelli che da sempre e sempre di più si ritrovano sotto i simboli delle formazioni “ultras” italiane. Loro che rappresentano un poco il simbolo della passione calcistica e hanno il potere da fare da metronomo, nel bene come nel male, per l’intero canone dello spettacolo. L’avvio non è strato certamente tra i migliori, per esempio, a Padova dove durante l’amichevole tra la squadra veneta e la Lazio si sono risentiti i soliti e ignobili cori razzisti. La preghiera è che sia stata, per davvero, l’ultima volta e che dal giorno del via ai giochi per l’intero campionato siano proprio gli “ultras” nelle loro curve a dare l’esempio di “tifo buono” e solidale. Quello a favore e mai contro. Quello che consente alla famiglie riunite di ritrovare il piacere e la serenità per tornare negli stadi evitando il rischio di mettere in gioco la propria vita andando, il sabato o la domenica, in un centro commerciale. Un messaggio di pace lanciato dal “birboni” del calcio. Sarebbe meraviglioso. E se dovrà essere soltanto un sogno, pazienza.

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