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Dagli ultras un messaggio di pace per l’Europa in guerra
La mappa e la strategia della paura e dell’assassinio premeditato sono ormai ben conosciute da tutti. Gli obiettivi di queste belve impazzite non sono i governanti, i potenti, le figure emblematiche del “sistema occidentale”, i difensori dell’ordine come militari e poliziotti. Le vittime designate siamo noi, cittadini della strada e passanti di tutti i giorni le cui sane abitudini ci portano a ritrovarci quotidianamente nel luoghi della modesta felicità individuale rappresentata dai caffè, dalle sale cinematografiche, dalle discoteche, dai centri commerciali, dagli stadi. I nostri piccoli “templi” laici nei quali, fino a ieri, avevamo l’opportunità di trascorrere qualche ora fingendo che questo sia ancora un mondo accettabilmente normale.
La nuova strage di Monaco di Baviera, dopo quelle di “Charlie Hebdo” e del “Bataclan” a Parigi e dell’aeroporto di Bruxelles e del resort a Dacca e della “Promenade” di Nizza, ci confermano che non è più così e che proprio i luoghi di riunione popolare apparentemente più “innocenti” sono diventati i più pericolosi. La ragione, dunque, ci potrebbe portare da ora in avanti a disertare il più possibile quei posti dove, da un momento all’altro, puoi saltare in aria o essere colpito da un proiettile di mitra. La dignità umana e civile, invece, si ribella a questo tipo di logica perversa della fuga e del nascondiglio. La libertà, in senso ampio, non è mai figlia della limitazione dei diritti sui quali è fondata quella stessa libertà. Come cantava Giorgio Gaber la libertà, soprattutto, è partecipazione. La partecipazione è la possibilità di stare insieme, possibilmente in maniera costruttiva. Anche dentro gli stadi del nostro calcio e di ciascun altro sport.
Ecco perché alla vigilia di tutti i campionati che stanno per cominciare in Europa trovo sacrosanto lanciare un appello, con il cuore credetemi, a tutti i tifosi e, in particolare, a quelli che da sempre e sempre di più si ritrovano sotto i simboli delle formazioni “ultras” italiane. Loro che rappresentano un poco il simbolo della passione calcistica e hanno il potere da fare da metronomo, nel bene come nel male, per l’intero canone dello spettacolo. L’avvio non è strato certamente tra i migliori, per esempio, a Padova dove durante l’amichevole tra la squadra veneta e la Lazio si sono risentiti i soliti e ignobili cori razzisti. La preghiera è che sia stata, per davvero, l’ultima volta e che dal giorno del via ai giochi per l’intero campionato siano proprio gli “ultras” nelle loro curve a dare l’esempio di “tifo buono” e solidale. Quello a favore e mai contro. Quello che consente alla famiglie riunite di ritrovare il piacere e la serenità per tornare negli stadi evitando il rischio di mettere in gioco la propria vita andando, il sabato o la domenica, in un centro commerciale. Un messaggio di pace lanciato dal “birboni” del calcio. Sarebbe meraviglioso. E se dovrà essere soltanto un sogno, pazienza.