Da VivoPerLei, un tifoso scrive a Galliani: "Ti chiedo scusa, perché..."
Antonio Servidio scrive:
“Galliani tifava Juve!” lo ha detto Emilio Fede e lo ha confermato lui stesso: “lo sono stato fino all’ 86 (anno in cui ha iniziato la sua scalata nel Milan n.d.r. ) a Monza non ci si sente milanesi, però dell’Inter non sono mai stato!”- ci ha tenuto a precisare. Trenta lunghi anni alla difesa dei colori, i suoi colori – il rosso ed il nero- che molto spesso sfoggia sul suo cappellino invernale, con tanto di stemma che ogni tanto copre con le mani quando per qualche eccesso di foga si ritrova a festeggiare o ad arrabbiarsi coi suoi.
Una figura forse troppo spesso bistrattata proprio dai tifosi e dallo stesso Berlusconi che aveva fretta di affiancargli la sua rampolla, salvo dimenticare la totale divergenza tra i due e –soprattutto- che l’andazzo non proprio idilliaco dei rossoneri non coincideva con una mancanza di fiuto per gli affari dell’amministratore ma derivava dalla mancanza di fondi.
Perché è vero che la memoria del tifoso tende ad essere sostanzialmente corta, ma il ragioniere di Monza ha portato in rossonero gente che del club ne hanno fatto la storia, quali: Baggio, Ibrahimovic, Thiago Silva, Nesta, Ronaldinho, Rivaldo, gli “olandesi”, Filippo Inzaghi, Schevchenko, Kakà, il miglior Balotelli, Pato, Gilardino e tanti altri, fino ad arrivare ai giovani campioncini dei giorni nostri quali Donnarumma, Locatelli e Romagnoli. Ne dimentico sicuramente qualcuno perché l’elenco è infinito.
Ma, attenzione! Il ridimensionamento delle casse rossonere non ha comportato il venir meno del suo fiuto eccezionale per i cosiddetti parametri zero, ha infatti consegnato un Menez da sedici gol a costo zero, lui, il “dottore” come amano definirlo i calciatori che con questi ha stretto poi anche grandi rapporti al di fuori di quelli semplicemente lavorativi, tant’è che Balotelli ancora oggi lo ricorda con piacere quale unico motivo per cui è valsa la pena di tornare in Italia ed ha poi evitato che il suo pupillo della finale di Atene finisse sulla panchina del Sassuolo perché in lui aveva visto il “physique due role” che aveva prima saccentemente fiutato in Allegri, con tanto di ottavo scudetto cucito sul petto di un dirigente come pochi, perché lui oltre al credo del lavoro quale unico strumento per raggiungere gli obiettivi ci ha messo sempre il suo cuore da tifoso.
La notte di Marsiglia, quella cena con Tevez, il no a Kondogbia e gli affari (maliziosamente interpretati) con il Genoa hanno cercato di screditarne il lavoro, dando materiale alla tesi di...CLICCA QUI PER CONTINUARE A LEGGERE E PER COMMENTARE