Da Rooney a Milito, da Riquelme a Kakà: quando il ritorno è romantico
RITORNI VINCENTI - Wayne Rooney ha deciso di tornare a casa, lì dove si è rivelato al mondo, lasciando il Manchester United e rimettendosi in gioco nel suo Everton, facendo una scelta controcorrente in un calcio in cui la concretezza dei soldi sta avendo la meglio sulla fragilità dei sentimenti. Ma finché ce ne sarà soltanto uno, è giusto continuare a credere nel romanticismo pallonaro. E la storia lo insegna, ci sono ritorni che fanno palpitare il cuore e arricchire il palmares, partorendo una gioia unica agli occhi dei tifosi. Chissà se Wazza farà come Diego Milito, che lasciò il Racing de Avellaneda per sbarcare in Europa e, una volta compiuta la trasformazione da Principe a Re, farvi ritorno per vincere, tra la sua gente, in mezzo al suo popolo, facendosi travolgere dall'amore biancazzurro. Chissà se farà come Juan Sebastian Veron, altro cuore argentino, caliente, che ha preso scarpini e borsone per tornare a dettare legge in Sudamerica con l'Estudiantes. Chissà se emulerà Dirk Kuyt, fresco di vittoria in Eredivisie, con il Feyenoord in cui esplose, con il Feyenoord che lo elesse suo beniamino, con il Feyenoord in cui è tornato per regalare un il titolo di campione d'Olanda che mancava da 18 anni. Chissà se Wazza...
RITORNI DOVUTI - C'è chi è tornato a casa e non ha potuto dare una mano ad accrescere il palmares. Ma fa niente, c'è anche altro. C'è chi lasciato casa da Piccolo Mozart e ci è ritornato, 15 anni dopo, sempre da Piccolo Mozart. Perché a casa, passano gli anni, tutto può cambiare, ma i nomignoli, quelli no, rimangono per sempre. Tomas Rosicky ha deciso di tornare, la scorsa estate, nel suo Sparta Praga per chiudere la carriera tra amore e rispetto, dopo una vita in cui il destino si è preso spesso gioco di lui. Anche Kakà, per un anno, ha fatto ritorno a casa, quella del "cuore", quel Milan bistrattato che ha salutato con un gol in Europa in una sconfitta, a Madrid, contro la fame e il cholismo di Simeone. Bacio allo stemma, e ciao a quella Champions che i rossoneri non hanno più rivisto. Però, nella tristezza, è giusto che l'ultimo gol, per il momento, porti la firma di chi, nelle notti con la musichetta, ha fatto la differenza più di ogni altro. Poi c'è lui...
IL CUORE - Senza fronzoli: Juan Roman Riquelme, un giocatore, una palpitazione. Uno degli ultimi 10, uno che entrò al posto di Diego Armando Maradona il 25 ottobre 1997, in un River-Boca, sostituendo Dio all'ultima sua partita da calciatore, stanco di fare miracoli su un rettangolo verde. Uno che col diez sulle spalle ha vinto tutto prima di sbarcare in Europa e sfiorare, per un rigore parato dal tedesco Lehmann, una finale di Champions League con la maglia del Villarreal. Un passo per diventare leggen... no, non è vero, è leggenda comunque. Perché poi torna di là, a casa sua, e rivince ancora tutto con la sua pelle Xeneizes. El Mudo, che coi piedi cantava e col cuore ragionava. E che, in perfetto stile Riquelme, decide di lasciare dopo una sconfitta. In una finale. Di Libertadores. Lui, argentino di Buenos Aires che perde contro di loro, i brasiliani del Corinthians. Vendetta? Voglia di rivalsa? No, va bene così. E il popolo non protesta, come potrebbe? Ha atteso per anni il suo ritorno e sa che, anche in un addio, può esserci tanto amore. "Abrazame hasta que vuelva Roman".
@AngeTaglieri88