Da Meazza a Balotelli: quando il calciatore è tifoso
DA MEAZZA A TOTTI, DA DI CANIO A INSIGNE. Quando il calciatore è un tifoso
Non solo Supermario, sono in tanti ad aver giocato nella squadra nel cuore. E non sempre è andata bene.
Al giocatore di pallone si chiede sempre di essere un freddo professionista, macchina insensibile, senza fede. Tanto più nell'era dei contratti che si stracciano in un secondo e delle squadre che si cambiano ogni anno (se non ogni sei mesi). A smentire questo dogma ecco che arriva la vicenda Balotelli: milanista ben prima di andarci a giocare, quello che si metteva i calzini rossoneri ai tempi della militanza interista e che ai compagni nerazzurri diceva "vi stiamo prendendo" quando il Milan era a un punto, facendoli arrabbiare non poco.
SUPERMARIO, IL CALCIATORE-TIFOSO- Insomma, Supemario è il prototipo del calciatore-tifoso che, talvolta, realizza il sogno di giocare per la propria squadra. E, talvolta, per un accidente della sorte, sta nella squadra "sbagliata". E Supermario non è il primo (e non sarà nemmeno l'ultimo, nonostante i contratti-carta straccia, ecc. ecc) a far parte di queste due particolari categorie. Come si vedrà, ci sono insospettabili passioni di gioventù per bandiere invece associate ad altri colori, mentre non sempre è una garanzia di successo finire nella squadra del cuore.
I MILANISTI - Partiamo proprio dal Milan: leggenda narra che due leggende (il gioco di parole è obbligato) non fossero affatto milaniste in gioventù. La vicenda di Franco Baresi che va a fare un provino per la squadra del cuore, ovvero l'Inter, e viene scartato perché troppo gracile, lasciando il posto al fratello Beppe , è diventata proverbiale quando si tratta di sfruculiare la lungimiranza dei talent-scout nerazzurri. Mentre Paolo Maldini aveva un poster nella cameretta con la Juventus di Zoff e Cabrini . Qualcuno sospetta perfino che Silvio Berlusconi nutrisse simpatie interiste ( e avesse provato a prenderla, l'Inter, da Fraizzoli che sdegnosamente rifiutò), mentre è storicamente provato che Galliani fosse juventino, seduto in tribuna dietro a Boniperti, sempre negli anni del poster di Maldini. Un milanese e milanista invece era Aldo Maldera, classico figlio di pugliesi emigrati al nord che un tempo venivano assegnati in automatico al rossonero.
GLI INTERISTI- Passando sull'altra sponda, il Pepin Meazza era il ragazzo di Porta Vittoria che sognava di giocare in nerazzurro. Dell'Inter fu perciò simbolo per quindici anni, ma alla fine andò a svernare al Milan, un sacrilegio. Bergomi prima di diventare il capitano di mille battaglie, di notte sognava Rivera e Rocco e pure un altro idolo della Curva Nord confessò simpatie milaniste, Nicola Berti (che liquidò però con una frase destinata a farlo idolatrare ancor più dagli ultrà interisti, «tutti, da piccoli, hanno avuto le malattie infettive»). Vero aficionado dell'Inter era Andrea Pirlo ( tanto che spesso si inerpicava al secondo anello quando giocava nel Brescia), ma la sua parentesi in nerazzurro, com'è noto, non fu delle più felici. Mentre, Per venire al presente, Cassano giocava per un Inter Club da bambino.
MARCHISIO E TOTTI - Spostandosi a Torino, Marchisio è oggi il bianconero doc che si esaltava nei derby con i granata anche quando giocava nei pulcini: una figura che, sotto la Mole, mancava probabilmente dai tempi di Bettega, più spesso frequenti i torinesi e torinisti in passato (Lentini, Cravero e quant'altri). Di Genova non vengono in mente molti esempi, forse uno per parte: Pruzzo per il Genoa e Chiesa per la Samp. A Roma naturalmente è tutta un'altra cosa, essendo il tifo una questione di appartenenza, una carta di presentazione, una ragione di vita, un fatto etnico che distingue un quartiere dall'altro: Totti è ovviamente il calciatore-tifoso per eccellenza, così come De Rossi.
NAPOLI, IMMENSO VIVAIO - Di là, c'era Nesta che raccontava di esser figlio dell'unica famiglia laziale in un caseggiato completamente giallorosso, cose che ti segnano. Mentre è stato spesso celebrato il romanzo di Paolo Di Canio che parte della Lazio, gira mezz' Italia e mezz'Europa, e poi torna in biancoceleste. Così come quello del suo «nemico politico» Cristiano Lucarelli, col famoso milione buttato via per poter vestire la maglia dell'amato Livorno. Stessa religione è il napoletanismo a Napoli, vivaio immenso di ragazzini che sognavano di diventare un giorno dei Maradona. Qualcuno c'è riuscito: Antonio Iuliano, Bruscolotti, Ferrara, Cannavaro, Quagliarella, ultimo arrivato Insigne. Insomma come si è visto, a qualche "calciatore-tifoso" è andata bene, a qualcun altro no. Supermario prenda nota.