Da Maldini a Ronaldo, da Baggio a Del Piero: quando i campioni sono soltanto dei padri
Oggi è la Festa del Papà, giorno intitolato a San Giuseppe. Il papà per eccellenza, genitore di un figlio biologicamente non suo e per questo simbolo di una paternità scevra da pregiudizi e modelli stereotipati. La figura del padre possiede una valenza nevralgica all’interno del gruppo famigliare, al pari di quella della mamma, oltre ogni tipo di convenzione. Lo insegnano persino alcuni animali come il leone maschio, per esempio, il quale si fa carico del cuccioli appena nati lasciando che sia la femmina andare a caccia per procurare il cibo necessario.
L’esempio del Re della foresta che scende dal trono per occuparsi dei suoi cuccioli è bello ed esemplare tanto che, se lo si desidera, è possibile ampliarla anche ai campioni del nostro calcio. Coloro i quali, per l’immaginario collettivo, vengono vissuti un poco come degli esseri a parte scollegati dalla normale realtà quotidiana e destinati a vivere la famiglia come un semplice corollario. Naturalmente non è così e se è valido il teorema secondo il quale dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna è possibile affermare che alle spalle di un figlio a modo esiste un buon papà.
Tanti mi vengono in mente. Per primo Cesare Maldini. Il genitore silenzioso ma sempre presente, seppure da dietro le quinte, il quale con il sostegno della moglie Marisa ha formato Paolo modellandolo con la pasta della sua stessa filosofia sino a che è diventato la persona eccezionale che tutti conoscono e apprezzano, oltre a ciascun risultato professionale. Poi mi piace dire di Cristiano Ronaldo e del suo sapersi spogliare delle vesti da superman per essere soltanto padre. Il giorno in cui CR7 ha preso il suo primogenito Cristiano Junior, di dieci anni, e l’ha portato con sé a Madeira per gli conoscere l’umile casa del quartiere povero dove lui era nato e cresciuto. Il più bel gol, sicuramente, di Ronaldo.
A seguire c’è Fiorindo Baggio, il babbo dell’ineguagliabile Roberto, morto meno di un anno fa per il quale il foglio non esitò a esternare come fosse stato per lui l’uomo più importante di tutta la sua vita. Il papà che un giorno ebbe una visione e gli disse: “Vai, Roby, corri. Tu sarai per l’Italia ciò che è stato Maradona per l’Argentina”. Non si sbagliava, al netto di un finale fortunatamente diverso con Roby che fa il contadino e vive della e per la sua famiglia. Poi ci sono Gino e Alessandro Del Piero. Padre e figlio. Quel bimbo di otto anni che il babbo, tutte le sere di ritorno dal lavoro, chiudeva con lui nel garage della loro casa e lo invitava a colpire con una pallina da tennis calciata con i piedi l’interruttore della serratura. Lo stesso fanciullo che riemerso dal corpo ormai adulto e alzatosi dalla panchina dive Ancelotti lo aveva relegato, a Bari, segnò il gol della vittoria bianconera e poi scoppiò a piangere tra le braccia di Pessotto. Quel gol era stato ispirato da Gino, il babbo, che era da poco tempo in cielo.
Storie di comune umanità disegnate su personaggi non comuni. Pier Silvio Berlusconi, il primogenito del Cavaliere, che compra uno spazio sul Corsera per ringraziare il genitore di essere stato un grande padre. Quei lampi di disperazione che ancora oggi, dopo undici anni, illuminano gli occhi di Giovannino Galli mentre pensa suo figliolo Niccolò. Francesco Totti ridotto a una statua di cera al funerale di Enzo, il suo padre sceriffo, portato via dal Covid. La scalata dolente sul pendio della sofferenza di Alessandro, il figlio di Paolo Rossi, il quale ha giurato di ricoprire il ruolo di babbo adottivo per le due sorelline Elena e Maria Sofia. Come San Giuseppe, nel nome di Pablito e nel nome del padre.