Milan scuola di allenatori, da Liedholm ad Ancelotti. Ma cosa c'entra Mancini?
La notizia comunque sta nel numero così alto di ex giocatori milanisti che intraprendono con successo la carriera di tecnici. Un fenomeno particolare, dovuto ai maestri avuti nello spogliatoio perché non è che la società sia sempre stata esattamente guidata da sostenitori e fautori di stile, serietà, trasparenza. O semplicemente competenza. Basti pensare a presidenti come Felicino Riva, Albino Buticchi, Felice Colombo, Giussy Farina. Evidentemente però a Milanello si respira calcio, si vive di quello ancora oggi, un laboratorio che produce risultati insospettabili perché diciamocelo, che Sheva diventasse C.T. dopo essere stato preso in giro da Mourinho perché preferiva il golf ai ritiri, van Basten pure dopo le guerre nemmeno troppo sommerse a Sacchi (salvo ammettere, una volta smesso di giocare, che aveva ragione Arrigo), o Rijkaard che alla domanda dell’allenatore nella riunione tecnica (“Secondo te, Frankie, vinciamo facendo pressing a tutto campo o aspettandoli in difesa?”), rispose con la sua vocina modulata: “Vinciamo se tiriamo all’incrocio”. Di mezzo c’è spesso Sacchi, specialmente con Carlo Ancelotti che mosse i primi passi da tecnico proprio al fianco dell’allenatore di Fusignano, vice C.T. dell’Italia. Il campione di Germania aveva già letto nella sua sfera di cristallo, sapendo non soltanto che un giorno avrebbe intrapreso questa carriera, ma che avrebbe allenato il Milan. Da giocatore infatti lavorava nella famosa “gabbia” inventata a Milanello da Sacchi il quale un giorno, indicandola, gli chiese: “Carletto, anche tu farai costruire la ‘gabbia’ quando allenerai?”. E lui rispose sorridente: “E perché dovrei farla costruire? Qui c’è già…”.
Eppure qualcosa è cambiato. Scaricati come rottami Leonardo, Seedorf, Inzaghi e Brocchi, adesso tra i possibili successori di Montella viene indicato un ex interista laziale e sampdoriano come Mancini. Ma questa è già, ormai, un’altra storia.