Matteo Bennati, 'freshman of the year': 'Vi racconto lo studio e il calcio negli Stati Uniti. Il futuro è qui'
E poi? "E poi avevo già deciso di partire" racconta Bennati a Calciomercato.com. "Inizialmente volevo stare un anno dopo la maturità all'estero, a imparare l'inglese. Sarei andato anche in Inghilterra, ad esempio. Però ho conosciuto questa azienda, la U.S.A. College Sport, che aiutava i ragazzi a trovare borse di studio da 40-50 mila dollari l'anno in America per studiare giocando a calcio. Oltretutto, in un ambiente che dà molte più possibilità a livello professionistico rispetto all'Italia". La favola di Matteo comincia da lì: "Hanno messo su un video di 8 minuti con alcune immagini delle mie partite, lo hanno mandato ai vari coach delle università e quelli che erano interessati mi hanno ricontattato". Non è tutto così semplice, però. Un elemento da tenere sempre presente nel corso di questo articolo è che negli Stati Uniti il concetto di sport a livello professionistico e quello di studio vanno sempre di pari passo: "Non puoi andare là senza sapere l'inglese. Da quel momento in poi è cominciata la parte 'scolastica', io ero fortunato perchè conoscevo già abbastanza la lingua, al Liceo ero il più bravo della mia classe. Ho dato due esami e ho preso il minimo indispensabile per essere ammesso in quella scuola". La decisione del college è un momento delicato: "Io sono partito senza aver bene presente quanta differenza c'è tra le varie Division e tra le varie leghe. Ho avuto la fortuna di scegliere un college di Division 1 NCAA, che è la migliore. E' il campionato che offre più visibilità. Avevo una proposta da Los Angeles, ad esempio, che però è in Division 2. Non mi sono fatto allettare da Venice Beach, e ho fatto bene". Per arrivare in MLS, però, la strada è complessa: "Funziona tutto esattamente come per il basket. La NCAA è il serbatoio, ogni anno si organizza il 'draft', durante il quale le squadre professionistiche scelgono i migliori giocatori del campionato collegiale". La regola del Draft "fa sì che tu per tre-quattro anni giochi e studi. Ti ritrovi così a 23-24 anni con due strade. O smetti di giocare a calcio, e sfrutti la tua laurea, oppure prosegui nella carriera da professionista. E' così in tutti gli sport, dal basket al football, quindi in MLS, NBA o NFL trovi o giocatori giovanissimi, che hanno saltato la parte del college e sono stati prelevati direttamente dal liceo, oppure atleti laureati. Gran parte di essi magari non avrebbe avuto la possibilità economica di prendere una qualifica del genere, e grazie alla sua bravura in uno sport è riuscita a costruirsi un futuro".
Matteo adesso gioca a Nashville, per l'Università di Belmont. E lo fa con ottimi risultati: "Non è tra le squadre migliori di Division 1, che sono più di 200. Il torneo è organizzato in questo modo: ci sono varie 'conference', campionati su base territoriale, composte da una decina di squadre ciascuna. Le vincenti delle varie conference, più le 25 migliori del ranking, vanno a fare i play-off. Purtroppo la mia squadra non si è qualificata". Eppure, Matteo Bennati ha impressionato tutti: "Ho ottenuto dei riconoscimenti individuali molto importanti" conferma il ragazzo genovese. "Ad esempio, sono stato votato 'freshman of the year' di tutta la mia conference". Il 'freshman' è la matricola, lo studente al primo anno. Bennati è stato eletto dai vari coach il miglior esordiente del suo campionato. E proprio in questi giorni, giusto in tempo per Natale, a Matteo è arrivato un altro bel premio: "Sono stato nominato anche nella Top 100 dei Freshman di tutta l'America. Ne sono estremamente felice, perchè la concorrenza è tantissima. Oltretutto è anche doppiamente difficile perchè la mia conference non è tra le migliori e noi non siamo andati ai play-off". Tentazione calciomercato, a questo punto? Non per Matteo, anche perchè nel calcio d'oltreoceano non funziona come in Italia: "Ci si potrebbe aspettare che io chieda una borsa di studio in un'altra università, probabilmente me la concederebbero anche. Però qui c'è una regola: un coach non ti può parlare se prima non gli mostri il 'nulla osta' firmato dall'allenatore della tua università. E' una norma che prendono molto seriamente. Rischiano addirittura il lavoro. Quindi io potrei ritrovarmi senza squadra e senza borsa di studio, prima di avere la certezza di un'alternativa". Sarebbe una pessima idea, considerando che Matteo studia economia internazionale, una laurea spendibile anche per il futuro non soltanto negli U.S.A., e dice di essere "molto interessato e appassionato della materia".
Viene naturale domandarsi a che punto sia il calcio collegiale in America. Il livello del campionato è in crescita, anche se non è ancora a livelli eccelsi: "Con così tante squadre, la differenza tra la prima del ranking e l'ultima è enorme. Secondo me, la squadra più scarsa potrebbe giocare a livello della Promozione italiana, mentre la più forte potrebbe stare in Serie D. La stagione si articola così: inizia il campionato a fine agosto, dura sino a metà novembre. Poi ci sono i play off, la finale è circa a metà dicembre. Poi quando si torna dalla pausa natalizia parte la Spring, il semestre in cui ci si prepara a livello fisico. Dura da gennaio ad aprile, in seguito hai un programma estivo da seguire". E' evidente che la preparazione fisica è alla base dello sport a stelle e strisce: "Puntano tantissimo su quell'aspetto. A livello fisico sono fortissimi. Durante l'anno ci allenavamo tutti i giorni per più di due ore al giorno sul campo. A tutto ciò, bisogna aggiungere le sedute di palestra. E anche adesso nella Spring, durante la quale abbiamo le amichevoli, facciamo quattro volte allenamento sul campo più tre di pesi".
Ora immaginatevi il classico film americano, con gli studenti che tifano per la scuola e strutture all'avanguardia. Esagerazione? Secondo Matteo no: "Le cifre che circolano lasciano a bocca aperta. Il calcio si sta ancora sviluppando, ma il football nelle giovanili è seguito letteralmente da tutti. Faccio un esempio: il coach di football che guadagna di più a livello collegiale viene pagato 10 milioni di dollari l'anno. Gira un mare di soldi, e lo stesso succede anche con noi, seppure in proporzione decisamente inferiore. Facciamo le trasferte in aereo, quando andiamo in pullman abbiamo gli autobus con i letti, siamo ricoperti di sponsor. Come partner tecnico avevamo Nike, quest'anno cambieremo. E' un altro mondo. Lo stesso dicasi per le strutture: credo che parecchie squadre di Serie B si sognino gli impianti che abbiamo qua. All'interno dei campus ci sono delle vere e proprie città". Tutto in perfetto stile a stelle e strisce. E' lo stesso anche con la popolarità? Gli atleti come Matteo sono davvero i ragazzi più famosi, quelli pieni di ragazze e che tutti conoscono? "Con il marketing sono avanti anni luce. Hanno pagine Instagram seguite da tutti, ci sono le nostre foto sparse in giro... come nei film, è vero, le ragazze cercano gli atleti (ride, ndr). Però è anche vero che cercano di più i giocatori di basket e football americano. Loro possono letteralmente fare quello che vogliono". Viene da chiedersi se davvero Matteo possa pensare di tornare in Italia, un domani. "Ero partito pensando di fare un anno e tornare. Dopo un mese, quando capisci tutto il mondo che ti si apre davanti, pensi 'chi me lo fa fare'? L'MLS per il momento è un sogno, una possibilità che si può presentare come no. Io, nel frattempo, mi laureo. Qui per sfondare devi laurearti, non hai altre opzioni. Per carità, posso valutare qualsiasi opzione, mi lascio aperte varie porte. Ma in questo momento, e per i prossimi quattro anni, il mio sogno è solo questo". Comprensibile. E se, leggendo questa intervista, avete provato un po' di invidia per Matteo non vi preoccupate: è perfettamente logico.