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Da Escobar al Cartello di Sinaloa: Maradona nella terra dei narcos
SOSPETTI - In Messico ci sono forti sospetti che la proprietà del Dorados abbia legami stretti con il narcotraffico. A capo del club c'è Jorge Alberto Hank, figlio di Jorge Hank Rhon, imprenditore e politico che è stato sindaco di Tijuana dal 2004 al 2007 per il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), finito sotto accusa nel 2017 per corruzione e legami di alcuni dei suoi esponenti con la criminalità organizzata. L'ingegnere, come ama farsi chiamare, gestisce una rete di casinò e un cinodromo ed è considerato dalla gente del posto come un benefattore, non un personaggio pericoloso e controverso (in passato ha avuto problemi con la giustizia perché aveva in casa un arsenale composto da oltre 80 armi e migliaia di munizioni), ma un mecenate, sempre pronto a scendere in campo per i più bisognosi. Un uomo con il sorriso sulle labbra che non ama però incursioni nella sua vita. Come scrive Repubblica il cronista Hector "The Cat" Felix, fu assassinato nel 1988 da due guardie del corpo di Hank, mentre indagava sui suoi presunti legami con i baroni della droga.
L'INVITO DI ESCOBAR - Non è la prima volta che Maradona ha a che fare con il mondo dei narcos. A inizio degli anni novanta fu invitato in Colombia da Pablo Escobar, per giocare una partita privata a La Catedral, il suo carcere personale, insieme a René Higuita. Accettò senza sapere che la richiesta arrivava da uno dei criminali più grandi della storia, mandante ed esecutore di migliaia di omicidi, un uomo potente che oltre alla droga amava il futbol, l'Atletico Nacional de Medellin (del quale è stato finanziatore) e Diego che, come lui, era riuscito a trionfare sulla povertà.