Da Di Maria a Di Maria, il simbolo del fallimento juventino
Pippo Russo
Una lezione di calcio senza appello, con lunghi passaggi di dominio portoghese talmente netto da risultare imbarazzante. Il verdetto emesso ieri sera al termine della gara giocata all'Allianza Stadium è netto sotto molti aspetti. La Juventus, strapazzata dal Benfica molto più di quanto dica il punteggio di misura, è quasi fuori dalla Champions. Soprattutto, la gara di ieri sera ha fatto chiarezza forse definitiva sul valore di questa squadra. Una chiarezza che non era stata data dalla precedente gara sul campo di un indolente Paris Saint-Germain, che per gran parte del primo tempo aveva surclassato la squadra di Massimiliano Allegri salvo poi farla rientrare in partita, fino a mettere a rischio la vittoria nella ripresa. Ma quella 'onorevole sconfitta' aveva soltanto mascherato i profondi limiti della Juventus di questa stagione, e ritardato di qualche giorno l'evidenza dei fatti. Un'evidenza emersa brutalmente durante il primo tempo della partita contro la Salernitana e poi per l'intera gara di ieri sera contro il Benfica. Che secondo quanto detto da Allegri dovrebbe essere l'avversaria su cui fare la corsa per il passaggio alla fase successiva della Champions. E rispetto a ciò l'esito del campo ha smentito l'allenatore bianconero. Perché, a meno che il prossimo 25 ottobre al Da Luz la Juventus sfoderi una prestazione in questo momento impensabile, per la squadra bianconera si tratterà di fare la corsa sul Maccabi Haifa per garantirsi il paracadute del passaggio in Europa League. Ma se si vuole cercare l'elemento che in termini simbolici maggiormente comunica il senso di questo rovescio bianconero, bisogna soffermarsi su uno specifico episodio della gara. Avvenuto al 58', dopo che da poco il Benfica aveva ribaltato il punteggio. Si tratta dell'ingresso in campo di Ángel Di Maria, mandato nella mischia per risolvere i problemi e, suo malgrado, emblema della sconfitta juventina e degli errori di prospettiva compiuti dalla società bianconera. Il messaggio era che, nel momento in cui bisognava raddrizzare la partita e il cammino in Champions, la Juventus si affidava a un calciatore prossimo alla fine della carriera, acciaccato e giunto in Italia per rimediare l'ultimo contratto importante prima di chiudere la parabola agonistica in patria. Ma soprattutto, quel calciatore veniva mandato in campo contro la squadra che lo aveva portato in Europa ben quindici anni prima (nell'estate del 2007), quando era un giovane di sicuro avvenire e si apprestava a confermarlo. E dal Di Maria giovane che iniziava col Benfica al Di Maria declinante che lo affronta quindici anni dopo c''è tutto il senso di un fallimento progettuale. Che rischia di mandare da subito in fumo un'altra stagione juventina e del quale dovranno assumersi le responsabilità tutte le componenti. Non soltanto l'allenatore.