Da Bearzot a Maldini: la 'spoon river' dell'Italia Mundial, 35 anni dopo
E’ cosa normale ed è giusto parlare di coloro che c’erano raccontandone le imprese magari attraverso la loro voce. E’ ancora più sacrosanto, però, ricordare quelli che c’erano ma che oggi non ci sono più. Almeno non qui tra noi. Perché anche loro hanno pieno diritto alla menzione speciale come architetti di un evento che sarà anche lui speciale per sempre. Una sorta di piccola antologia corredata con i nomi e i cognomi di tutti quelli che, ciascuno a modo suo e per il ruolo ricoperto, furono gli artefici di un sogno diventato realtà quella notte al Bernabeu di Madrid. Praticamente l’intera panchina dell’Italia campione del mondo. La nostra “Spoon river” azzurra.
ENZO BEARZOT - Una pipa e dietro il fumo che usciva da quel camino un uomo. Rude e ruvido, trasparente e genuino come le montagne del suo Friuli. Partì per la Spagna con ancora addosso il colpo a tradimento subito da una fanatica tifosa che lo aveva schiaffeggiato e insultato perchè non aveva convocato Beccalossi. Ufficialmente era il Commissario Tecnico. Di fatto fu un padre autentico per i suoi ragazzi al quali, insieme con la collaborazione di Dino Zoff, seppe infondere lo spirito guerriero e vincente. Indimenticabile.
CESARE MALDINI - Se Bearzot era il padre di quel gruppo, Cesare Maldini ne era il fratello maggiore. Un “secondo” per modo di dire perché di fatto era lui a dirigere in pratica ciascun allenamento, mentre il “Vecio” osservata da bordo campo, e a fare da parafulmine per tutte le controversie anche aspre che caratterizzarono la prima e tribolatissima parte del percorso azzurro a Vigo. Svolgeva il suo ruolo di “sentinella” azzurra con discrezione e con quel grande senso di umanità che ha sempre saputo usare e dosare come uomo e come allenatore.
LEONARDO VECCHIET - Il responsabile dello staff medico della nostra nazionale. Profondamente innamorato della sua professione che spesso esercitava come una vera missione a vantaggio di chi non aveva possibilità economiche, ebbe il merito di farsi anche un poco “stregone” durante il Mondiale. Fu lui, infatti, a sperimentare la “carnetina” sui giocatori azzurri come tonico e vitaminico in grado di accelerare il recupero fisico in un torneo così lungo e complicato. Nulla di illegale o di proibito, naturalmente. Forse anche solo un effetto placebo. Ma funzionò a meraviglia.
GUIDO VANTAGGIATO - Era il giovane segretario generale di quella spedizione azzurra. Scapigliato e un poco “beat” dentro il suo abito di ordinanza, dovete suo malgrado assumere il ruolo più complicato e antipatico dell’intero periodo spagnolo. Il silenzio stampa deciso da tutti i giocatori, con il solo capitan Zoff autorizzato a parlare a nome di tutti costrinse il malcapitato Guido a frapporsi tra l’incudine e il martello quotidianamente per difendere la volontà del gruppo azzurro e al contempo per garantire il diritto di cronaca al battaglione dei media.
SANDRO SELVI - Ufficialmente il massaggiatore capo. In realtà molto di più. Amico e confidente dei giocatori per l’umanità che sapeva usare nei loro confronti. Giancarlo Antognoni pianse come un bambino tra le sue braccia quando dopo essersi infortunato seppe che avrebbe dovuto rinunciare alla finale con la Germania. Selvi era stato partigiano e aveva sofferto le angherie naziste in un campo di concentramento. Per questo non volle mai festeggiare i suoi compleanni, ma soltanto la data di ricorrenza della liberazione sua e dei suoi compagni.
FEDERICO SORDILLO - Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio e perciò verosimilmente un uomo che arrivava dalla politica. Eppure malgrado il ruolo istituzionale che ricopriva non tentò mai di mascherarsi o di nascondersi abbandonando il carro anche quando, dopo il primo turno in Galizia, le cose sembravano dovessero andare in maniera disastrosa. Un signore di altri tempi che non riuscì magari a raggiungere la statura e il carisma di Artemio Franchi ma che verrà sempre ricordato dal calcio e non solo per il Mondiale vinto.
GIGI PERONACE - Fra tutti decisamente il più sfortunato. Era stato aggregato al gruppo come “accompagnatore”. Uomo di calcio dalla esperienza notevolissima. Italiano trapiantato a Londra e antesignano dei contemporanei direttori sportivi e anche, per la parte nobile, dei procuratori. A lui il calcio italiano deve gli arrivi di campioni come Charles, Sivori, Angelillo e tanti altri. Doveva essere il fiore all’occhiello della nostra nazionale. Un fiore che appassì e morì, la notte prima della partenza, nel ritiro di villa Pamphili a Roma. Gli azzurri andarono in Spagna con il lutto al braccio.
GAETANO SCIREA - Non era il capitano soltanto perché la fascia spettava di diritto al suo grane e inseparabile amico Dino Zoff. Tutto e di più è stato scritto o detto di un giocatore di pallone la cui figura è sempre andata ben oltre gli angusti confini professionali. La sua assenza, ancora oggi e dopo tanto tempo, pesa in maniera enorme per ciò che seppe fare e per quel che di grande avrebbe potuto offrire a un mondo del pallone che oggi lui stesso farebbe fatica a riconoscere come il pianeta che, dopo la sua bella famiglia, aveva amato più di ogni altra cosa.
SANDRO PERTINI - L’altra pipa sempre accesa di quel Mondiale. Il Presidente per antonomasia al cui cospetto tutti i successivi politici del nostro Bel Paese fanno la figura dei poveri nani. Indimenticabile nel momento in cui, dopo il terzo gol dell’Italia, si rivolge al re di Spagna e gli urla: “Non ci prendono più…”. La partita a scopone scientifico con gli azzurri sull’aereo di ritorno rimarrà per sempre un autentico e prezioso cameo da offrire sull’altare di uno fra i momenti più belli e più esaltanti della storia calcistica italiana. Anche nel nome di coloro che dormono sulla collona della nostra “Spoon river” azzurra.