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  • Crotonemania: mamma, non svegliarci

    Crotonemania: mamma, non svegliarci

    • Michele Santoro
    Il giorno dopo una partita come quella di ieri ti senti a pezzi. Rimettendo insieme i cocci di una stagione strana, ti passano davanti i momenti più o meno esaltanti e ti chiedi come si è arrivati a questo punto. Tanti, troppi episodi (arbitrali e non) girati contro e sempre quella strana sensazione di sliding doors che aleggia intorno, quel martello pneumatico in testa che invita a pensare a come sarebbe andata a finire se le cose fossero andate diversamente. La rete annullata di Ceccherini al Cagliari, i due scontri salvezza toppati con Spal e Chievo, il quasi 3-1 di Rohden 24 ore fa alla Lazio: robe da mangiarsi i gomiti, rimpianti, cause dell'ennesimo travaso di bile per un popolo che non se lo merita. Ma tant’è che siamo qui, a giocarci la salvezza al San Paolo di Napoli, con l’assurda consapevolezza che vincere potrebbe anche non bastare. Ma come? pareggiare a San Siro con l’Inter, fermare in casa Juve e Lazio, poter sperare di fare risultato a Napoli per ritrovarsi, poi, in Serie B? Non ci voglio pensare. I numeri, a volte, sanno essere spregevoli.

    Non è ancora il momento dei saluti, dei titoli di coda, dei ringraziamenti, anche se l’occasione potrebbe essere ghiotta. Il Crotone ha l’obbligo di scrivere, quella che a oggi, è la sua ultima pagina di A e ha bisogno di credere in qualcosa che la logica non può concepire. È tutto più difficile quando non si è padroni del proprio destino ma ieri hanno fatto, tutte o quasi, il loro dovere; se dovesse andar male anche solo per il confronto negli scontri diretti, beh, vorrà dire che avranno avuto ragione gli altri. Siamo messi peggio, inutile girarci intorno, ma siamo in ballo. Le combinazioni sono importanti ma lasciano il tempo che trovano: se domenica prossima dovessimo affrontare il match con l’orecchio alla radiolina, come successo in altre occasioni, staccheremmo immediatamente un biglietto di sola andata per la B. Dovrà essere una gara da vivere in pieno, da giocare come sappiamo fare, senza pensare al futuro, godendoci il momento; come quando stai facendo un bel sogno ma c’è tua madre che incombe, e con la voce impastata dal sonno le dici: “Mamma, un altro po’”. Un altro po’ di A.
     

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