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Costruire le proprie origini: così il Sassuolo ha rubato l'Emilia al Bologna
Domani al Dall'Ara, i giocatori di Di Francesco, rientrati da Vienna giovedì notte, non potranno non percepire, almeno vagamente, il fascino e la potenza storica del primo vero stadio che l'Italia ha visto erigere verso le fine degli anni Venti. Il primo stadio, tra l'altro, sorto per iniziativa pubblica, ideato e voluto dal gerarca fascista Leandro Arpinati. Questa grande opera, forse sarà un caso, forse no, precedette il periodo d'oro del Bologna, i magnifici anni Trenta. Dal giorno dell'inaugurazione ad oggi, i rossoblù ci hanno vinto sopra sei dei loro sette scudetti. Cinque di questi, ottenuti sulla scia di quel progetto.
Anche soltanto a pronunciarne il nome, "Dall'Ara", i neroverdi dovrebbero tremare. Lo stadio infatti dall'83 (prima si chiamava "Littoriale", poi "Comunale") porta il nome di Renato Dall'Ara, IL presidente rossoblù, uno che guidò il Bologna per trent'anni e vinse quattro titoli in vita, ed uno postumo (l'ultimo, nel '64).
Dovrebbero tremare, gli uomini di Di Francesco, loro che giocano al Mapei Stadium, una delle strutture più recenti d'Italia, e che oltretutto sarebbe casa d'altri. Sarebbe; in un'ottica tradizionale, un po' anacronistica (rispetto al mondo che ci circonda) e sentimentale (nel senso deteriore). Si dirà che è una sigla che funziona, Mapei Stadium, che suona bene, sì, però non rischia di essere un po' freddino, il Materiali Ausiliari Per Edilizia e Industria Stadium se confrontato appunto a un Dall'Ara? Si farebbe fatica a sostenere il contrario. Se poi lo rapportiamo agli altri due stadi di proprietà italiani (Juventus Stadium, Stadio Friuli-Dacia Arena), quello di Reggio Emilia è l'unico ad appartenere non direttamente a un club, bensì a una multinazionale.
Detto questo, i neroverdi non tremeranno, domani, anzi. Per quanto stancati dalla parentesi europea e senza Berardi, restano pur sempre i favoriti. E lo sono perché da qualche anno, grazie a un progetto modello, la piccola ha superato la grande, e per di più ha bruciato le tappe, segnando la via da percorrere. Il Bologna, di fatto, non è più la regina d'Emilia, anche se ora con la nuova dirigenza sta tentando la risalita. E non a caso, per rimanere in tema, una delle questioni centrali, tanto per Squinzi quanto per Saputo, è stata la questione stadio.
Ma mentre il primo è riuscito con grande astuzia ad impossessarsi del primo stadio di proprietà costruito in Italia, l'ex Giglio di Dal Cin (inaugurato nel 1995), partecipando a un'asta dove quasi glielo tiravano dietro (pensate a quanto ha speso la Juve, a quanto ha speso l'Udinese, e poi a quanto a speso la Mapei..), Saputo è stato costretto (e in parte lo è ancora) a rapportarsi coi tempi, i limiti e la burocrazia giustamente imposta dalla Soprintendenza e dal Comune proprietario, mettendo da parte la speranza di poterselo comprare, il Dall'Ara. Lui che in Canada, per il suo Impact de Montréal, s'è fatto subito il suo bel Stade Saputo.. Proprio un altro mondo.
La storia dello stadio del Bologna, che di per sé è un valore assoluto, oggi rischia di gravare, rallentare i felsinei a fronte di un Sassuolo forse più piccolo, certamente meno grasso, ma proprio per questo più agile e scattante, pronto a raccogliere le sfide dei tempi. Vale la pena di sottolineare ulteriormente un ribaltamento significativo e sorprendente: se negli anni Venti del 900 il pubblico progettava uno stadio come il Littoriale (l'attuale Dall'Ara), donando al Bologna il presupposto materiale dei suoi successi, ora sembra avvenire il contrario: tutti cercano di avere uno stadio di proprietà, e il Sassuolo è in prima fila. E se stessimo entrando nei magnifici anni Venti del Sassuolo? C'è chi sostiene che le origini e le tradizioni non esistono. Semplicemente, si costruiscono.