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    Così Brexit cancellerà la supremazia della Premier League in Europa

    Così Brexit cancellerà la supremazia della Premier League in Europa

    • Luca Borioni
    Il dopo Brexit è ancora un’ipotesi e non troppo immediata, aldilà del polverone emotivo che si è alzato dopo il referendum che ha portato il Regno Unito alle urne con un’esercizio di democrazia diretta e trasparente: leave or remain. E i britannici, per la maggiorparte, hanno scelto leave.

    Via dall’Europa dell’alta finanza spietata. Preponderante il voto della working class, la classe meno abbiente che più ha sofferto la perdita del lavoro, quella nella quale potremmo inserire anche gli appassionati di calcio. I fan che in inghilterra negli ultimi anni hanno sempre più spesso manifestato per il caro biglietti, tanto per fare un esempio. Oppure contro l'arrivo di capitali stranieri al vertice dei club di casa, causa-effetto del problema di cui sopra, il caro biglietti.

    Tutto questo per ricollegarci al calcio e per immaginare le prospettive della Premier, attualmente il campionato più ricco e prestigioso… d’Europa. Sarà ancora così dopo l’effetto del Brexit?

    Nell’immediato non cambierà nulla, o quasi. A parte il fatto che ci vorranno due anni prima che l’uscita del Regno Unito venga ratificata e resa politicamente effettiva, non si possono escludere nel tempo piccole o grandi norme di transizione o comunque accordi che permetteranno di rendere meno traumatica la nuova situazione pur nel rispetto della scelta popolare. Così, a maggior ragione, questo potrà accadere nel calcio dove al momento non sono poche le differenze di status tra giocatori dell’area Euro ed extracomunitari.

    Di fatto il sistema fin qui condiviso aveva permesso al torneo inglese (evitando di addentrarci nelle peculiarità degli altri paesi membri dello Uk e dei rispettivi campionati) di prosperare enormemente con un giro d’affari di gran lunga superiore specie se confrontato generalmente con la nostra serie A. Merito di un sistema di tassazione diverso e soprattutto, tra le altre cose, di un modello di diritti televisivi decisamente munifico, capace di garantire a una squadra di media classifica della Premier una potenza di fuoco superiore a quella dei club di vertice della nostra serie A.

    Di qui una differente capacità di spesa sul mercato e di conseguenza anche una squilibrata distribuzione di valori, ovvero di campioni in campo.

    Le cose però potrebbero cambiare. La Brexit ridimensionerà fatalmente nel primo periodo le capacità di spesa dell’economia della Gran Bretagna e quindi anche del campionato inglese. È possibile che diminuiranno i volumi di spesa dei club e che la ricchezza verrà in qualche modo redistribuita su altri campionati. Sarà più complicato pure da un punto di vista normativo per i club inglesi attrarre le stelle che fin qui hanno animato le partite della Premier.

    Gli inglesi potrebbero pagare la politica esterofila degli ultimi anni, la stessa che ha prodotto scarsi risultati da parte della nazionale da tempo ormai immemore e che paradossalmente è stata chiamata in causa anche in occasione della recente debacle dei club britannici nelle coppe europee. Soldi per le academy ne sono stati versati, ma senza progetti ben definiti e comunque senza una particolare attenzione per i giovani talenti di casa. Cambiare improvvisamente politica, sulla scia della nuova prospettiva autarchica, non produrrà effetti immediati se non quello probabile di un leggero impoverimento della Premier.

    Così almeno si può immaginare che accada, in un contesto dove la stessa Premier non rappresenterà più l’eccellenza d’Europa perché l’Europa stessa sarà costretta a ripensarsi anche calcisticamente guardando dentro le proprie realtà e favorendo la crescita alternativa di altre realtà rispetto al modello inglese, fino a ieri preponderante.

    Ma intanto il prossimo Brexit è tra Inghilterra e Islanda. Accadrà un’altra volta l’impronosticabile? 
     

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