Facile criticare Conte, adesso. Facile dargli del traditore. E ancora più facile lo sarà se e quando l’Italia fallirà l’Europeo: gli diranno che pensava al Chelsea e che non aveva la squadra in mano perché già si sapeva che se ne sarebbe andato. Come se per lui e per gli azzurri fosse normale buttare un’occasione del genere - un mese che può valere una carriera.

 

Tutto questo rientra nel gioco delle parti, è un rischio che Conte ha certamente previsto. Vorremmo però, una volta tanto, che si provasse a mettersi nelle scarpe del ct. Il quale dalla Nazionale non ha avuto ciò che si aspettava: nessuno stage supplementare, nessuna collaborazione dai club. Sapevamo che sarebbe andata così, lo dice la storia del calcio (non solo del nostro), ma a lui l’avevano raccontata in modo differente. Il punto centrale della vicenda, però, non sono certo tali quisquilie, qualche raduno in più e una finale di Coppa Italia che la Lega persiste a non voler spostare. No, il punto centrale è un altro: l’offerta del Chelsea. Che è ricca e gli permette di affrontare un’esperienza straordinaria: guidare uno tra i club più grandi del mondo, nel campionato più affascinante del mondo, negli stadi più belli del mondo.

 

Ecco, adesso mettiamo le scarpe di Conte. E rispondiamo: noi avremmo scelto la Nazionale oppure il Chelsea? Se proprio vogliamo essere senza pietà, chiediamoci: noi avremmo detto sì a Tavecchio oppure ad Abramovich? Perché è agevole prendere una strada fatta di facili moralismi quando le scarpe sono quelle di un altro.