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    Conte ha rottamato l'Italia mondiale

    Conte ha rottamato l'Italia mondiale

    • Marco Bucciantini
    Nello stadio di Oslo (raccolto, comodo, dimensionato, dal colpo d’occhio modernissimo, eppure fu progettato novant’anni fa) Conte ha proposto un’Italia concettualmente molto veloce e aggressiva. Rispetto all’Italia che affrontò l’esordio dei recenti mondiali, contro gli inglesi, ci sono 8 titolari nuovi: nessun’altra nazionale ha rifondato tanto, nemmeno la Spagna dove pure Del Bosque ha inciso profondamente con nuove intenzione tattiche. 

    Conte ha cambiato molto e con obiettivi tattici diversi (perfino opposti) rispetto all’ultimo Prandelli, che voleva governare il ritmo della partita cercando di possedere palla in fraseggio, e rinunciando alla profondità almeno nella prima intenzione di gioco. Quello che fu un corteggiamento dell’area di rigore avversaria molto manierista, fino all’impotenza (in area non entrammo quasi mai, in tre match mondiali) è diventato un approccio vigoroso, nelle intenzioni sicuramente più arrembante che nei risultati, ma nella scelta di alcuni centrocampisti c’è una chiara indicazione filosofica: Giaccherini e Florenzi sono incursori disposti a faticare senza palla in entrambe le fasi di gioco, soprattutto addensando l’area, approfittando dei movimenti delle punte, e offrendo il loro sacrificio agli stessi attaccanti, alleggeriti da marcature plurime. Altra “cifra” riconoscibile del calcio di Conte è il protagonismo degli esterni, che devono stare molto alti. Anche se gli interpreti sono propriamente terzini (come lo era Litchsteiner alla Juventus) a loro è chiesto di allinearsi agli attaccanti e assicurare sfogo in ampiezza alla manovra (e allargare le difese, sempre per favorire le volate degli interni). Questo calcolo è favorito dai tre difensori, mentre con Prandelli i terzini erano anzitutto due esterni bassi e le avanzate erano poi frustrate dai tempi di manovra rallentati dai palleggiatori. Solo Darmian e solo con gli inglesi riuscì a correre: anche perché da quella parte l’Inghilterra rinunciò alla parità numerica, lasciando a Rooney libertà di collocamento (e di accentramento). 

    Al di là di quello che poi in campo è riuscito, e quello che è rimasto “potenziale”, la scelta di rinunciare a Candreva e Verratti per Giaccherini e Florenzi è – dunque – l’idea tattica di Conte, sua propria: ribaltare l’azione, e ritrovare velocità e aggressività al posto dell’esercizio accademico che in Brasile non riuscì. Anche Conte muove i suoi per governare la partita (nella Juventus questo dominio finiva per essere tecnico, fisico, emotivo: totale): si preoccupa anzitutto di vincere i duelli fisici, costringendo gli altri a muoversi di conseguenza, azzardando il pallone negli spazi, squilibrando gli altri con l’ossessiva voglia di Immobile e Zaza: anche in questa scelta, Conte non si è angosciato del tasso tecnico ma ha voluto fecondare il campo di agonismo, e trascinare tutta la squadra in questo solco. Tornare su Balotelli è stancante, ma la differenza fra il suo recente modo di stare sul pezzo e un attaccante che copre tutto il fronte senza smarrire l’area, correndo pressoché il doppio, annulla qualsiasi velleità tecnica. Liverpool è un posto perfetto per accendere il fuoco dentro di sé e Balotelli comunque servirà a questa Italia perché ha carisma e soluzioni e un talento per la semplificazione delle cose. Ma nell’impatto con il nuovo lavoro Conte doveva essere “fondamentalista”, tornare a considerare il campo in tutta la sua grandezza. Non c’era posto per le mezze (magari splendide) recite. E serviva un essenziale messaggio al gruppo, succinto, netto. In un certo senso serviva la trasmissione di quel po’ di revanscismo che sembra tormentare da sempre il salentino, quel senso di riscatto che era il pegno da pagare al Paese avvilito da quei mondiali tanto attesi e altrettanto mortificanti. E in campo, ruminare erba: affamati, magari non precisi, ma veri. Il resto, poi. 

    La difesa a tre, dunque. Con il diverso uso degli esterni e con il reintegro di Bonucci, al centro, nel ruolo che lo eleva a miglior difensore italiano con una spanna sul secondo, ruolo però che nella difesa a quattro non c’è (o almeno questo ci hanno fatto credere per un mese intero, quando si preferiva Paletta a Bonucci: mistero che resterà insoluto). È mancato Pirlo, e infatti la manovra quasi mai si è avviata limpida, se non nel robusto avvio (lancio di De Rossi per Darmian): con disimpegni più lineari, anche un “tempista” come Florenzi può far meglio, e il dominio del campo ne diverrà più sicuro. Intanto, quell’agonismo seminato con scienza e coscienza, permette una difesa fiera di Buffon, che fa solo presenza. Come capitava anche con la Juventus, le squadre che affrontano i satanassi di Conte tendono a mancare il “tono” del match: è un merito silenzioso del tecnico oggi azzurro. 

    Se queste considerazioni sembrano troppo definitive, con così poche prove a disposizione, è giusto chiudere con in numeri: nelle ultime 10 partite della gestione precedente l’Italia aveva vinto solo con gli inglesi, poi 6 pareggi e 3 sconfitte. Aveva subito gol da chiunque, Armenia, Lussemburgo, Costarica. Solo con gli irlandesi finì 0-0. L’Italia, in breve, ha cambiato passo. Forse è l’effetto tipico delle natività, certamente Conte ha letto bene le partite passate, che è il buon metodo per rovesciare i brutti andazzi. Piano piano verranno aggiunti altri giocatori, altri punti di vista, altri sapori (per esempio, Verratti è un gioiello del calcio italiano, e quando manca Pirlo fa male allo stomaco saperlo a sedere). Ma c’è un protagonismo collettivo che è promettente ed è – nelle sue varie forme – la base di ogni grande squadra. 

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