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    Carpimania: l'utilità del compromesso

    Carpimania: l'utilità del compromesso

    • Gabriele Pasca
    Prendete un tecnico nuovo di zecca e catapultatelo in una sessione di allenamento prima ancora della conferenza stampa di presentazione; unitelo ad una rosa di 27 elementi, molto eterogenea, e datelo in pasto ad una curva contrariata dall’esonero di Castori. Una volta assorbito il dissenso, mettetegli pressione, in vista della partita casalinga contro il Torino, con statistiche, precedenti e rituali scaramantici. Se avete seguito pedissequamente tutti i passaggi descritti, dovreste ottenere una squadra poco propensa ai compromessi e, probabilmente, assettata di punti. Nel giro di novanta minuti, anche novantacinque, dipende dal clima, vi troverete di fronte ad una vittoria clamorosa e, dato che la vostra inesperienza vi porta a consultare il ricettario, probabilmente sarà la prima in serie A.

    Alcuni la chiamano ricetta per la vittoria, altri ricetta dell’acqua calda. Come sempre, dipende tutto dal punto di vista che decidiamo di assumere. Chi propende per la prima tesi, sicuramente, possiede un’indole aziendalista, poco incline ai sentimentalismi e più vicina al “nessuno è indispensabile” di juventina memoria. I sostenitori della seconda, invece, sono esattamente l’opposto di tutto ciò che finora è stato detto: ignorano il significato di aziendalismo, non per demeriti scolastici ma perché trattasi di un termine diametralmente opposto al loro modo di intendere il calcio, si affezionano a giocatori, staff tecnico e dirigenza e credono che i fini, anche i più nobili, non sempre giustifichino i mezzi; insomma, sono i romantici del calcio.

    Si sa, non esistono visioni giuste e sbagliate in sé. Esistono, più che altro, decisioni, giuste e sbagliate. Questione conseguenze, poi: spesso accade che a decisioni giuste seguano conseguenze nefaste; spesso capita il contrario. Ecco, chi crede che la vittoria contro il Toro sia merito di Sannino, sbaglia. Chi crede che non sia merito di Sannino, sbaglia ugualmente. Perché il calcio è mediazione ponderata, non è oltranzismo, è adattamento al nuovo. Si può essere romantici ma non nostalgici, affezionati ma non ossessionati. D’altronde, le curve ce lo insegnano: “accada quel che accada”, saranno sempre là.

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