CM SHOW. Alessandro Di Carlo: 'Roma, ma quale progetto? Occhio al vivaio'
Lunedì sera sarà in scena al Teatro Quirino di Roma con 'Viva viva San Giuseppe', uno spettacolo speciale per la festa del papà. Contemporaneamente, a pochi chilometri di distanza, si giocherà Roma-Genoa. 'Vi posso garantire che la comicità è più o meno la stessa' assicura il tifoso - ma critico - giallorosso Alessandro Di Carlo, uno dei più noti cabarettisti della scena capitolina, che con il tecnico del Chievo ha in comune non solo il cognome ma anche... l'acconciatura. Calciomercato.com lo ha intervistato in esclusiva.
Qual è la tua analisi di questa stagione della Roma che sta per concludersi?
'Sì, in effetti è tempo di fare delle analisi... quelle de laboratorio però! A parte gli scherzi, lancio una provocazione: e se questo benedetto progetto, alla fine, non esistesse? Io il dubbio ce l'ho...'.
Alla faccia dell'entusiasmo. Allora non sei tra quelli che, nonostante i risultati altalenanti, a Luis Enrique perdonano tutto...
'Sicuramente lui sta avendo una certa dose di fortuna, che altri suoi predecessori in giallorosso non hanno avuto. E poi Roma è una città pigra, indolente. Molti dicono: vabbè, ma se lo mandiamo via poi chi prendiamo? Tanto vale...'.
E allora qual è il progetto di Alessandro Di Carlo?
'A me piacerebbe ragionare come fa l'Arsenal da tanti anni: puntare forte sulla Primavera e sul settore giovanile più in generale. Costruire una squadra con un'età media di 24-25 anni, composta prevalentemente da prodotti del vivaio. Certo, ci vorrebbe coraggio. Con un progetto del genere non vinci di certo la Champions League, ma magari con un po' di fortuna riesci a piazzarti a ridosso delle prime in serie A. I tifosi della Roma, del resto, amano vedere il bel calcio ma anche il sacrificio di chi va in campo...'.A proposito dello spettacolo di lunedì: quanto è difficile, oggi, per un padre, trasmettere la passione per il calcio a un figlio?
'Sempre più difficile. È in calcio in cui non c'è più gioco, non c'è più fantasia, non c'è più poesia. È tutto troppo tecnico, è tutto un córi, scatta, ména. Già, ecco che a quel punto subentra pure la violenza. Senza emozione non ci può essere tradizione. Troppo profondo? Non sembro neanche un comico...'.