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  • Ciao Diego, amico mio. Grazie per aver giocato a calcio e per averlo fatto a Napoli

    Ciao Diego, amico mio. Grazie per aver giocato a calcio e per averlo fatto a Napoli

    • Francesco Marolda
    Grazie, Diego. Grazie per aver giocato a calcio e per aver giocato a calcio a Napoli. Sette indimenticabili anni. Una storia lunga di passioni e di emozioni concentrata in quei sette anni vissuti e consumati nel tuo nome, nei tuoi gol, nelle tue bizzarrìe in campo e fuori. In quei successi che hai regalato a una città intera e a un popolo intero, non soltanto a quello del pallone, che l’abitudine al successo non ce l’aveva proprio. Nessuno sarà mai come te, caro amico, perché non potrà esserci mai nessun altro dio del calcio e perché anche se ne arrivasse un altro da chissà quale Universo sconosciuto  non avrebbe il tuo sorriso e la tua innata, naturale, genuina napoletanità.

    Volle Napoli, Maradona, in quell’estate dell’84. Aveva voglia di scappare via da Barcellona dove si sentiva prigioniero e ci riuscì con la complicità di Antonio Juliano, dg azzurro di quel tempo, e di un altro dirigente azzurro illuminato: Dino Celentano. Mise piede al San Paolo il 5 di luglio e fu subito assai più di un amore a prima vista. Il fenomeno Maradona al Napoli. Incredibile! “Ma davvero viene Maradona? Chissà, magari qualche volta potrò giocare contro di lui in allenamento”, mormorò pieno d’emozione quella sera Ciro Ferrara, freschissimo campione d’Italia con gli allievi azzurri. Avrebbe fatto assai di più Ferrara, con accanto quel campione che appena arrivato giurò ai napoletani che avrebbe vinto con loro e per loro. Ma la prima vittoria non fu in campo. Il primo successo di Diego Maradona fu riuscire a raccattare i cocci di una città ancora ferita dal terremoto dell’Ottanta e a riunirla, ricompattarla, attorno ad un pallone. “Basta vittimismo. Basta dare agli altri la colpa di tutto ciò che non siamo capaci di fare da soli”, disse. E Napoli seguì convinta e felice quel sorridente, simpatico, sfacciato scugnizzo nato per caso un una Villa Miseria d’Argentina. Anche se in verità Maradona nacque in una clinica e il medico presentandolo alla famiglia disse: è’ nato un maschio tutto testa e culo”.

    Luglio ’84, dunque. A Napoli incredibilmente non arriva solo il numero uno del pallone, ma anche un condottiero, un testardo e determinato capitano di ventura che avanza al grido di riscatto in campo e fuori. E così fu, Due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa Uefa, vinse quel Napoli che appartenne anche a Ottavio Bianchi e Albertino Bigon e a Castellini, Garella, Giuliani, Bruscolotti, Ferrara, Ferrario, Renica, De Napoli, Romano, Careca, Carnevale, Giordano e anche a Crippa, Alemao, Baroni, Celestini, Mauro, Zola, Salvatore Bagni ed altri ancora. Ma tutti, tutti, seppero fare un passo indietro. Il “capo” era Lui. Nel bene e nel male - e ce n’è è stato anche di male - quello era sempre e soprattutto il Napoli di Diego Maradona. Diego figlio di Napoli. Diego al quale la città e la gente perdonava tutto. Anche quello che ad altri mai avrebbe perdonato. “Ma chi credi di essere? Perché canti alle tre di notte e svegli tutti”, gli urlò una notte di primavera piena una signora avanti con gli anni da un balcone al primo piano. E Lui, appena uscito da un locale dove aveva buttato giù quattro o cinque whisky e coca: “Sono Diego Maradona”, disse. E la vecchietta: “Sei Diego Maradona? E allora canta”, replicò.

    Ecco: Diego poteva tutto. Perché era uno di loro. Uno di noi. A Napoli Diego vivrà sempre attraverso il racconto di gol spesso irriverenti e di successi, ma anche di lacrime. Come quelle che versò quando a Roma scipparono la medaglia d’oro del Mondiale alla sua Argentina e lui, mentre la Seleccion era ancora nello spogliatoio, andò a piangere da solo nel pullman che aspettava per portar via la squadra. O come le lacrime che gli vennero giù in quella stanza d’albergo a Dallas, quando dopo averlo voluto per salvare i Mondiali americani, la Fifa - raccontò a tre cronisti italiani e solo a loro - lo accoltellò alle spalle “scoprendolo” positivo all’efredina. Strano e infelice destino, il suo: osannato, ammirato, venerato addirittura, cercato da tutti eppure alla fine estremamente solo. Ciao Diego. Ciao amico. E grazie per aver giocato al calcio e per aver giocato a calcio qui.

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