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Addio Vecchi, eroe di Salonicco e storico preparatore dei portieri del Milan
Sulla carta d’identità c’era scritto Villy, con la “V”, ma tutti lo chiamavano Willy, quindi William. Era un uomo di mondo, Vecchi, uno che sapeva stare al proprio posto con la schiena dritta, prendendosi la responsabilità della scelta, del consiglio, dell’avvertimento. Un fedele e prezioso collaboratore, di quelli che nelle foto della vittoria compaiono in alto a destra, confusi nel mucchio, ancora in tuta, benvoluti dal gruppo, presenze decisive all’interno dello spogliatoio. Modesto per natura, si sentiva un privilegiato: aveva fatto il lavoro che sognava, aveva girato il mondo e si era tolto un sacco di soddisfazioni. Non era un portiere alto - erano i tempi in cui il Calcio ancora permetteva fisici normali - ma era reattivo come un petardo, acrobatico e coraggioso, quasi spericolato nelle uscite basse sui piedi dell’attaccante avversario lanciato a rete. Ogni tanto - proprio per questa attitudine - correva rischi non previsti e si infortunava (una volta saltò praticamente un’intera stagione: si era rotto la mano in uno scontro di gioco). La partita della vita fu quella di Salonicco, la finale della Coppa delle Coppe del 1973, quando il Milan vinse contro il Leeds con un gol su punizione di Chiarugi e poi difese a oltranza la vittoria, grazie soprattutto alle parate di Vecchi, che in queste ore - nei siti e nei social - viene appunto ricordato come “L’eroe di Salonicco”. Quel trofeo - la sua seconda personale Coppa delle Coppe - andò ad impreziosire una bacheca che da giocatore si sarebbe rivelata assai ricca: scudetto, Coppa dei Campioni (1969, ma contro l’Ajax Vecchi era in panchina, il titolare era il “Ragno Nero” Cudicini) e Coppa Intercontinentale. Pochi giorni dopo, di domenica, si giocò l’ultima di campionato al Bentegodi e il Milan - che si sentiva già con lo scudetto cucito all’altezza del petto - incappò nella più clamorosa e inattesa delle sconfitte con Vecchi che non riuscì ad opporsi agli attacchi dei vari Zigoni e Luppi, scatenati come mai, pronti a far gol, una, due, tre, quattro, cinque volte per la sentenza finale: Verona-Milan 5-3, la Fatal Verona, appunto, l’amarezza sportiva più grande di un uomo che aveva vinto tanto e oggi lascia una traccia profonda nella storia del Milan.ReplyReply to allForward