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    Chapecoense, la tragedia raccontata da un italiano: 'Città sotto choc, molti giocatori venivano a mangiare da me'

    Chapecoense, la tragedia raccontata da un italiano: 'Città sotto choc, molti giocatori venivano a mangiare da me'

    • Stefano Benzi
    Era una storia perfetta, bellissima e l’avremmo raccontata indipendentemente dal suo epilogo sportivo, la finale di Copa Sudamericana: l’Associação Chapecoense de Futebol questa finale con i colombiani dell’Atletico Nacional di Medellin se l’era conquistata superando una raffica di turni eliminatori a gironi e scontri diretti. Ma un incidente aereo sul quale si sta cercando di fare chiarezza ha schiantato, insieme all’aereo, anche i sogni del club e dei tifosi pretendendo un drammatico tributo di 71 vite. 

    Chi oggi scrive del Chapecoense lo fa contattando i propri corrispondenti in Brasile o grazie a qualche coraggiosa traduzione dal portoghese: d’altronde il Furaçao era una squadra che nonostante giocasse in Serie A e avesse appena vinto per la quinta volta il campionato del suo stato, quello di Santa Caterina, non conosceva praticamente nessuno. Santa Caterina è un posto meraviglioso e si trova a Sud in una zona dove gli emigrati tedeschi hanno costruito una quantità impressionante di parchi e giardini e dove la qualità della vita è altissima così come l’indice si studio e scolarizzazione. A poca distanza da Chapecò c’è Florianopolis, la città più italiana del Brasile: moltissimi nostri connazionali vivono lì. Come a Chapecò... dove Andrea Bazzurro gestisce un bar ristorante. Ha lasciato il Genoa e ha trovato il Chapecoense: “La città è sotto choc e non so come si riprenderà da un fatto così drammatico, da ieri i tifosi campeggiano fuori dallo stadio e dormono nei sacchi a pelo per essere sicuri di potere entrare quando ci sarà l’omaggio ai giocatori deceduti. Sono appassionato di calcio da sempre, sono nato in Gradinata Nord dove mi portava mio papà e quando mi sono trasferito in Brasile, prima a Florianopolis e poi qui a Chapecò, è stato naturale adottare la squadra locale. Il locale è sempre pieno di tifosi, spesso venivano anche giocatori e dirigenti a mangiare qui: mi chiedevano la pasta fatta in casa, le lasagne e il pesto. Anche ieri lo stavo preparando ma mi sono venute le lacrime agli occhi pensando a tutte quelle vite straziate che vedevo sempre sorridenti quando erano seduti ai miei tavoli. Ho chiuso il ristorante e non riaprirò fino a quando non ci saranno stati funerali. Troppo dolore...”.

    Andrea, che parla un ottimo portoghese, dice di essersi adattato alla lingua parlando inizialmente in genovese, un vernacolo molto simile al portoghese che si parla in Brasile: “Questa città e la sua gente non meritavano una tragedia del genere, proprio nel loro momento di festa e di gioia più grande”. I dirigenti dell’Atletico Nacional Medellin sanno già che la loro finale non si giocherà più e hanno meritevolmente chiesto alla Conmebol di assegnare il trofeo alla Chapecoense, un gesto di grande dignità e affetto. Possiamo solo sperare che la burocrazia si metta da parte e che questa coppa listata a lutto resti come ricordo di una squadra dignitosa e sfortunata, segnata da un destino crudele e beffardo.

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