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Ce l'ho con... Inzaghi non vale Conte, anche Marotta lo ha ammesso. La differenza sta tutta nella testa
"Lukaku e Hakimi avevano espresso la volontà di fare esperienze in altri campionati, è stata una scossa forte perché insieme a loro è andato via l'allenatore ed abbiamo perso anche lo sfortunato Eriksen". Beppe Marotta ha voluto ribadire una posizione che in casa Inter è nota da tempo e che torna, inevitabilmente, d'attualità nei momenti più delicati: dietro i 10 punti in meno conquistati dai campioni d'Italia in carica in questa Serie A - rispetto a quella passata - c'è la rinuncia forzata ad alcuni dei pilastri della formazione capace di conquistare l'ultimo scudetto. Tra i quali non è mai stato posto un focus particolare su Antonio Conte, capace in appena due stagioni di trasformare un gruppo di calciatori in cerca di identità in una squadra in grado di centrare la qualificazione ad una finale europea e poi a conquistare un titolo nazionale che mancava dal lontano 2010. Creando una mentalità e una tenuta psicologica che oggi non sono più così riconoscibili.
LA DIFFERENZA - "Inzaghi sta facendo molto bene e ha dei margini di crescita forti. Quando avrà l'età dei vari Ancelotti, Conte e Allegri potrebbe essere uno dei migliori in circolazione", ha aggiunto l'amministratore delegato nerazzurro. Dopo aver altesì evidenziato l'importanza dei traguardi già conseguiti dall'allenatore piacentino, che in bacheca ha messo già una Supercoppa, che tra circa due settimane si giocherà la finale di Coppa Italia e che in Champions League ha saputo conferire un'idea di calcio più offensiva e moderna, arrendendosi soltanto ad un fortissimo Liverpool negli ottavi di finale dopo due prestazioni assolutamente onorevoli. Ma sottolineando, nello stesso tempo, come Inzaghi oggi non sia ancora al livello di Conte. Per curriculum, esperienza e abitudine a sopportare certe pressioni nei momenti clou della stagione. Pressioni che una guida sicura è in grado di allentare, evitando al proprio gruppo di lavoro di sbandare quando non dovrebbe.
LA FRAGILITA' Samp-Inter, Lazio-Inter, Inter-Milan, Inter-Sassuolo e Bologna-Inter: iniziano ad essere molti nel corso di una sola annata i black-out di una squadra che in situazioni di ampio controllo delle partite ha staccato la spina quando si trattava di piazzare il colpo del ko nei confronti degli avversari. Se il deficit di killer instinct mostrato in zona gol è un fatto imputabile soltanto ai calciatori, se una squadra perde la concentrazione e si scioglie alla prima difficoltà negli appuntamenti topici, significa che il primo responsabile tecnico - quindi Inzaghi - non ha trovato il modo di porre rimedio ad una certa fragilità psicologica. Un difetto pesante per chi ambisce ad essere o rimanere grande. Niente è perduto, perché questo campionato ci ha dimostrato a più riprese che la capolista perfetta non esista e che il Milan sia più volte incappato nell'incidente di percorso nel momento meno adatto. Ma che la differenza più grande tra questa e l'Inter dello scorso stia nel suo leader "spirituale" inizia ad essere più di un sospetto.
LA DIFFERENZA - "Inzaghi sta facendo molto bene e ha dei margini di crescita forti. Quando avrà l'età dei vari Ancelotti, Conte e Allegri potrebbe essere uno dei migliori in circolazione", ha aggiunto l'amministratore delegato nerazzurro. Dopo aver altesì evidenziato l'importanza dei traguardi già conseguiti dall'allenatore piacentino, che in bacheca ha messo già una Supercoppa, che tra circa due settimane si giocherà la finale di Coppa Italia e che in Champions League ha saputo conferire un'idea di calcio più offensiva e moderna, arrendendosi soltanto ad un fortissimo Liverpool negli ottavi di finale dopo due prestazioni assolutamente onorevoli. Ma sottolineando, nello stesso tempo, come Inzaghi oggi non sia ancora al livello di Conte. Per curriculum, esperienza e abitudine a sopportare certe pressioni nei momenti clou della stagione. Pressioni che una guida sicura è in grado di allentare, evitando al proprio gruppo di lavoro di sbandare quando non dovrebbe.
LA FRAGILITA' Samp-Inter, Lazio-Inter, Inter-Milan, Inter-Sassuolo e Bologna-Inter: iniziano ad essere molti nel corso di una sola annata i black-out di una squadra che in situazioni di ampio controllo delle partite ha staccato la spina quando si trattava di piazzare il colpo del ko nei confronti degli avversari. Se il deficit di killer instinct mostrato in zona gol è un fatto imputabile soltanto ai calciatori, se una squadra perde la concentrazione e si scioglie alla prima difficoltà negli appuntamenti topici, significa che il primo responsabile tecnico - quindi Inzaghi - non ha trovato il modo di porre rimedio ad una certa fragilità psicologica. Un difetto pesante per chi ambisce ad essere o rimanere grande. Niente è perduto, perché questo campionato ci ha dimostrato a più riprese che la capolista perfetta non esista e che il Milan sia più volte incappato nell'incidente di percorso nel momento meno adatto. Ma che la differenza più grande tra questa e l'Inter dello scorso stia nel suo leader "spirituale" inizia ad essere più di un sospetto.