'Cassano, sei una primadonna! Devi rispettare le regole'
«Si potrebbe fissare un prezzo per i pensieri. Alcuni costano molto, altri meno. E con che cosa si pagano i pensieri? Credo con il coraggio». Non solo di pensieri vive Riccardo Garrone, presidente dell’U.C. Sampdoria. Di certo il patron blucerchiato è però persona coerente come nessuna e votata alla ricerca del bene comune. I pensieri e le idee positive e logiche però spesso sembrano fare a pugni con questo pazzo mondo definito calcio. E allora persino il gentiluomo Garrone arriva a credere che sia impossibile portare ordine e uniformità nel football italico. E il sentimento di disillusione si fa strada. «Disilluso? Può essere anche una definizione corretta. Ma il calcio è un’entità davvero particolare. Nonostante i suoi mille problemi e le sue mille contraddizioni riesce sempre ad esercitare un fascino tutto suo. Spesso arrivo a pensare che non vi siano troppe speranze per questo sport nel nostro paese. Ma poi lancio uno sguardo oltre frontiera e comprendo che si può ancora pensare di fare calcio nella maniera più logica e nel rispetto delle regole. E tendo a continuare nella mia ormai infinita battaglia personale».
In queste settimane di Sampdoria si è parlato spesso, e non solo per le vicende di campo.
«So bene che in questo momento la gente, la nostra tifoseria è un po’ spiazzata dalla ultime vicende. Capisco come tanti di loro possano non aver compreso al meglio certe nostre scelte, ma questa può essere l’occasione migliore per fare chiarezza. La famiglia Garrone nove anni fa ha preso un impegno importante, quello di salvare e quindi gestire nel miglior modo possibile la Sampdoria. Non è un impegno da poco e come famiglia abbiamo sempre dimostrato di saperci prendere impegni e responsabilità. Nessuno di noi ha mai pensato di guidare la Sampdoria con sufficienza o pressapochismo. La Samp non è un peso. Ogni scelta e ogni decisione viene ponderata con un solo obbiettivo, quello di fare il bene di questa società. Anche le ultime e pur dolorose scelte e prese di posizione sono state tutte improntate con un unico finale obbiettivo: rendere migliore la Sampdoria».
Si riferisce alle vicende Cassano e Gasparin?
«Certamente. So che entrambe queste vicende hanno lasciato perplessi i nostri tifosi ed è giusto che esprima il mio pensiero in merito. Il primo ad essere dispiaciuto per ciò che è avvenuto con Cassano sono proprio io, per quello che Antonio ha rappresentato per noi in questi tre anni e mezzo. Abbiamo investito molto su di lui, e non parlo dal punto di vista economico, ma da quello umano. Lo abbiamo rilanciato, lo abbiamo coccolato, lo abbiamo fatto sentire parte integrante della famiglia blucerchiata. Come calciatore credo che nessuno al mondo possa metterne in dubbio le capacità tecniche ma nella gestione di una società e soprattutto di una squadra ci sono altri aspetti che non possono essere sottovalutati. L’ho sempre definito una primadonna e come tale doveva essere trattato, compreso anche chiudere ogni tanto un occhio di fronte ad alcune sue "uscite di pista". Lo abbiamo fatto perché credevamo in lui, perché sapevamo l’importanza che Antonio rivestiva sul campo e anche ciò che rappresentava per la tifoseria. Ci sono però delle regole da rispettare, dei limiti che non possono essere valicati. La gente ha negli occhi i 90 minuti della domenica, le sue splendide magie sul campo ma a volte ci si dimentica che una squadra è composta da 35 persone e va gestita sette giorni la settimana secondo equilibri molto labili. Se questi equilibri si rompono e rischiano di compromettere la serenità di un gruppo non si può far finta di nulla. A tutti noi manca e mancherà Antonio per quanto ci ha saputo regalare sul campo ma io ho il dovere di preservare la serenità e l’integrità dell’intero mondo Sampdoria. Mi si accusa di aver pagato per far andar via Antonio? Proprio perché la dignità non ha prezzo ho deciso di contribuire a quei 5 milioni da versare al Real Madrid. Il calciomercato ha anche un valore sociale, deve educare ed insegnare, soprattutto ai bambini e ai giovani, e di fronte a quanto accaduto in quel pomeriggio del 26 ottobre serviva dare un segnale forte».
Non tutti hanno però apprezzato questa scelta.
«Viviamo in un Paese democratico e rispetto chi non la pensa come il sottoscritto. Se avessi dovuto seguire il cuore o i sentimenti avrei potuto agire in maniera diversa ma non avrei agito per il bene della Sampdoria e degli altri calciatori della rosa. Se pretendo rispetto devo essere il primo a darlo agli altri».
Altra vicenda spinosa è quella che riguarda l’ex direttore generale Gasparin.
«Quando si arriva a prender certe decisioni non si pensi che uno si alza al mattino e decida di cambiare così tanto per il gusto di farlo. Gestisco aziende da più di quarant’anni e ogni mia scelta è sempre stata ponderata e valutata. Anche in questo caso si è arrivati alla separazione dopo un lungo periodo nel quale ho cercato di far capire a Gasparin come volevamo venisse gestita la Sampdoria. Abbiamo un forte senso del rispetto delle deleghe, ad ognuno il proprio compito e di conseguenza le proprie responsabilità. Il direttore generale ha il compito di coordinare tutte le varie figure che operano all’interno della società ma non può sostituirsi ad esse. Abbiamo provato a farglielo capire ma lui aveva una visione diversa. Noi crediamo che una società debba essere gestita così e abbiamo deciso di cambiare. All’interno della Sampdoria esistono già diverse figure di altissimo livello professionale che intendiamo far crescere ognuno nel proprio settore. Poi ci sarà il sottoscritto che coordinerà il tutto insieme al Cda e al comitato strategico. Ogni decisione vitale per la Sampdoria verrà condivisa da tutti, perché la Sampdoria non è mia, ma un patrimonio di tutti».
Alla faccia di chi dice di vedere un disimpegno da parte della famiglia.
«Al contrario, queste scelte vanno nella direzione opposta. Se non fossimo interessati o disimpegnati lasceremmo andare le cose come stanno, penseremmo ad altro. Il fatto che la proprietà voglia esser coinvolta nelle scelte strategiche e che il presidente diventi una figura più presente nella vita quotidiana sono la testimonianza più diretta che noi alla Sampdoria ci teniamo. Questo ovviamente non significa che il dottor Garrone o i suoi figli o chi per noi entri nelle questioni meramente tecniche. Per quello ci sono dei professionisti preposti a seguire queste vicende ed è giusto che abbiano il loro spazio di manovra ma il tutto deve essere condiviso».
Presidente come verrà strutturata la società?
«Come detto non ci sarà più la figura del direttore generale e daremo più spazio alle figure già esistenti. Tosi è e sarà il direttore sportivo che avrà la responsabilità dell’area tecnica e del mercato mentre tornerà con noi Asmini che invece si occuperà di tenere i rapporti tra la società e la squadra come ottimamente ha fatto negli anni scorsi. Marino oltre al ruolo attuale di segretario generale diventerà il direttore organizzativo e seguirà tutti gli aspetti logistico/organizzativi della società mentre altre figure importanti come quelle di Spitaleri, Caroli e Marangon continueranno ad occuparsi delle loro aree di pertinenza (amministrazione, marketing e comunicazione, ndr) con maggior responsabilità di azione».
A gennaio presidente è anche tempo di mercato.
«Ho già avuto modo di leggere su alcuni quotidiani che anche in questa sessione di mercato avrei già smantellato mezza squadra. Mi spiace constatare che quanto fatto in questi anni non ha insegnato nulla. Non è la nostra politica quella di svendere e depauperare il nostro patrimonio tecnico ad ogni sessione di calciomercato. Probabilmente andranno via quei giocatori che in questa prima parte di stagione hanno trovato meno spazio, non certo i big. Quelli rimangono tutti. Poi cercheremo di rafforzare la squadra».
Un’altra sua battaglia che testimonia l’impegno della sua famiglia è quella legata alla costruzione del nuovo stadio. A che punto siamo presidente?
«Ci siamo trovati spesso a dover ripetere come il tutto sia inevitabilmente legato ai tempi della politica. La legge sugli stadi in corso di approvazione da questo punto di vista rappresenta e rappresenterà un punto cardine, di svolta anche per quel che ci riguarda».
Quell’ormai noto progetto dell’architetto Boeri poneva la nuova casa blucerchiata ad un passo dalla stazione aeroportuale di Genova, in una posizione decisamente favorevole anche in termini di vie di comunicazione. La vostra idea rimane sempre la medesima? «Confermo. L’area giusto alle spalle del "Colombo" è e rimane la nostra prima scelta. Logico che nel caso in cui l’empasse genovese continuasse a lungo magari potremmo essere costretti a rivolgerci altrove, magari fuori provincia».
Lo stadio è solo il punto focale di un programma di sviluppo del sodalizio di Corte Lambruschini che in questi anni non ha davvero conosciuto soste. Passo dopo passo la Samp è anche tornata a riconquistarsi una sua immagine a livello internazionale.
«È questa la mia nona stagione al timone della Samp. Spesso mi guardo indietro e torno a pensare alle macerie che trovammo all’inizio della nostra avventura in blucerchiato con una squadra sul baratro della Serie C. Quest’anno abbiamo disputato un preliminare di Champions League venendo eliminati dal fato più che dal reale valore dell’avversario. Non mi sembra che le cose siano andate poi così male in questi anni».
Una chiusura con il giusto quid di sarcasmo presidente. Torniamo sempre al punto di partenza quindi. E al nodo focale dello stadio di nuova concezione.
«Questo deve essere il nostro pensiero primario. Lo stadio non deve rappresentare né uno spauracchio né tantomeno un’idea fine a sé stessa. Lo stadio di proprietà rappresenta la salvezza di questa società. Se ancora si intende immaginare una Sampdoria competitiva ad altissimi livelli quella rimane l’unica via. Quanto costruito da questo gruppo di lavoro nelle ultime stagioni rappresenta davvero una sorta di miracolo sportivo difficilmente replicabile nelle attuali condizioni».
E proprio riferendosi al prematuro, ma quantomeno sfortunato addio alla Champions qualcuno è anche riuscito ad arrivare a contestarla. Cos’ha provato in quel momento?
«Non perdo la mia passione ed il mio amore nei confronti di questi colori. Un amore cresciuto nel tempo e fortificato nel quotidiano dalla stima e dal sostegno continuo che la gente blucerchiata non manca di dimostrarmi in ogni frangente. Episodi come quello vissuto giusto nel post Sampdoria-Chievo sono semplici fastidi al confronto. Momenti non belli da vivere, ma che tendo ad archiviare in fretta specie se messi al confronto a tutto quello che mi circonda nei miei momenti di Doria».
Una passione, quella dei tifosi, messa alla dura prova in questi ultimi anni da restrizioni continue e spesso senza logica. La trasferta a Parma quale esempio più lampante di una strategia di repressione non sempre condivisibile. Come giudica in questo delicato contesto la posizione dei supporter della Samp maggiormente estremisti?
«Comprendo le battaglie per la libertà e le condivido. L’ho spesso ripetuto. Non giudico nessuno. Ma da presidente dell’U.C. Sampdoria aggiungo anche che non solo la squadra, ma anche l’ambiente blucerchiato tutto ha bisogno di tornare a "vivere" uno stadio colorato e fremente di emozioni come è sempre è stato, anche nel recente passato. E non può pensare di farlo senza l’apporto prezioso delle frange più calde del suo tifo. Le limitazioni vanno accettate anche se non condivise, le imposizioni combattute in maniera lecita, ma altrettanto corretta. Senza dimenticare però per chi e per cosa si combatte».
Nei momenti più delicati qualcuno arriva a disegnare un futuro catastrofico per il Doria e la sopravvivenza della stessa società. Un modo di pensare davvero tutto genovese. Vogliamo in tal senso rassicurare anche il tifoso più spaurito e pessimista?
«Stiamo parlando della Sampdoria. Una società composta da ottimi professionisti e rappresentata da un gruppo di calciatori di alto profilo, apprezzati anche a livello internazionale. Credo non serva aggiungere altro».
Presidente abbiamo sviscerato ogni questione spinosa ed ogni vicenda che vede coinvolta direttamente o indirettamente la nostra Sampdoria. Vogliamo provare però anche a parlare un po’ di calcio giocato? Come giudica il cammino doriano di questo inizio di stagione? «Per quel che riguarda la Serie A mi sembra questo un campionato atipico, quantomeno indecifrabile. Nemmeno le big hanno finora innestato la quarta. Il nostro cammino fino a questo momento ha seguito un suo percorso abbastanza regolare senza picchi, ma senza nemmeno evidenti momenti di difficoltà. Ci troviamo in una posizione di classifica interessante, giusto a ridosso delle prime posizioni. E l’obbiettivo è quello di restare attaccati al treno che conta fino alla fine».
Una lotta per un piazzamento europeo, come da tradizione blucerchiata delle ultime stagioni. Quando la si raggiunge però poi questa Europa non regala le soddisfazioni che tutti noi desidereremmo. La domanda è: in Europa si va per competere davvero? «L’Europa non è uno specchietto per le allodole. È un obbiettivo prestigioso da conquistare sul campo. Questo obbiettivo va poi onorato con grande determinazione. Il problema è che la competizione in campo europeo spesso mette a nudo le mancanze del nostro calcio. E anche un girone può nascondere insidie importanti e non semplici da superare».
Quanto le ha fatto male uscire dai gironi di Europa League?
«Dispiace proprio perché i sampdoriani hanno da sempre una passione malcelata per le competizioni continentali. E il fascino delle Coppe è realmente unico a suo modo. Dispiace, ma al contempo sono convinto che solo l’esperienza in questo genere di gare possa permettere ad un gruppo come il nostro di crescere in termini di competitività a livello internazionale».
Il 2010 si chiude ed è tempo di consuntivi per tutti. Al presidente però noi chiediamo invece di lanciare un messaggio a tutto l’ambiente Sampdoria. Dai giocatori allo staff, fino ai tifosi, il bene più prezioso di questo club.
«Doverosi in primis sono gli auguri. A tutti, indistintamente. Per il resto non ho messaggi particolari da lasciare a nessuno. Il percorso di questi nove anni e passa testimonia l’attaccamento mio e della mia famiglia a questo club. La Sampdoria rappresenta un pezzo importantissimo del nostro impegno e del nostro quotidiano. I tifosi blucerchiati non hanno bisogno certo di lezioni o tantomeno di chiamate alle armi. Spero solo comprendano appieno che ogni mia decisione ed ogni mia battaglia nasce e si sviluppa nella ricerca del bene della squadra e della società che tutti quanti noi amiamo. A loro chiedo solo coerenza, non cieco supporto. Nella speranza di continuare a vedere un Doria in crescita e sempre più inserito nell’élite del calcio italiano ed internazionale».