Caso scommesse, evocare la ludopatia è troppo facile. Il problema è di responsabilità e coscienza
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Devo dire che non hanno torto. Prima della patologia, infatti, esistono l’educazione, la responsabilità e la coscienza. Se ragazzini che sono già abituati a guadagnare milioni di euro l’anno li buttano senza contegno è, innanzitutto, perché ce li hanno. Anzi ne hanno troppi e, proprio per questo, li sperperano.
Detto che tra chi si rovina l’esistenza con il gioco ci sono anche pensionati, operai, impiegati e via enumerando (a seconda delle proprie possibilità), bisogna avere il coraggio di scrivere che tra i poderosi agenti della dipendenza ci sono anche la stupidità, la superficialità e, in più di qualche caso, l’avidità. Perciò, nonostante un’umana comprensione per chi finisce sul lastrico scommettendo, chi giudica il fenomeno che ha attecchito tra i viziatissimi giovani della serie A, non può non dire che, prima della ludopatia, vengono l’idiozia, il vuoto mentale, la noia, l’abulìa e tanto altro di poco positivo.
Purtroppo da Fagioli a Tonali (Zaniolo e Zalewski negano, ma altri ne aspettiamo da oggi in avanti), la maggioranza evoca la ludopatia come per magìa. E non è un caso. Infatti, se in materia di giustizia sportiva, non esistono sentenze che vi facciano ricorso, ce ne sono alcune, in giurisprudenza, che hanno permesso di assolvere dai reati commessi imputati ai quali sia stata riconosciuta, ovviamente da un punto di vista scientifico. Motivo in più per auspicare una giustizia giusta e senza interessate assoluzioni.