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    Carpimania: grazie perchè...

    Carpimania: grazie perchè...

    • Gabriele Pasca
    Ecco, il giorno è arrivato, il sipario si è chiuso, lasciando dietro sé uomini, volti, emozioni, rabbia e delusione. Il sipario, bastardo, non fa sconti e non si riapre neppure per un ultimo, sacrosanto applauso finale, che è già oblio, è già la festa del vincitori, perché per l’orgoglio degli ultimi non c’è mai gloria ma solo dileggio e derisione. Il Carpi torna a giocare nel giorno che per tutti sarebbe il più dolce della settimana, ma non nel calcio, dove il sabato è l’augurio più brutto che le tifoserie contrapposte possano vicendevolmente scambiarsi. Il Carpi torna in serie B con la stessa voglia di un uomo che cambia il bolide con un’utilitaria, dopo aver calcato la Scala del calcio ed esserne uscito imbattuto due volte su tre, dopo aver fermato il Napoli dei record su un onesto 0-0, dopo aver dimostrato a Lotito che, all’Olimpico, anche le grandi possono fermarsi difronte ad una squadretta di provincia. Evidentemente tutto questo non è bastato perché agli uomini di Castori venisse concessa una seconda chance, e non fa testo il fatto che una squadra con 38 punti in saccoccia negli ultimi anni sarebbe potuta considerarsi salva da un pezzo: sì, perché, nelle scorse nove stagioni, solo il Chievo è retrocesso con 39 punti, dopo di ché, per la salvezza, sono sempre bastati 35, 36 punti, non di più. Ma questa è un’altra storia.

    Ora verrebbe il tempo della riflessione, in teoria, secondo il frasario imposto dalle regole del calcio e, più che altro, della comunicazione. In realtà sarebbe molto più fruttuoso il tempo dedicato alla rabbia, alla voglia di riscatto immediato, non prima, però, di alcuni necessari e doverosi ringraziamenti, partendo da lui, quello strano esemplare di tecnico, razza marchigiana, che ai più non aveva detto nulla e, forse, non dirà nulla ancora oggi. Fabrizio Castori è quel desiderio di rivalsa che ti coglie quando ormai sembra non esserci più spazio per te, per i tuoi anni e per la tua storia; eppure no, eravamo tutti in errore. Fabrizio Castori è uomo di tuta ma solo quando serve, perché la tuta non è un marchio di fabbrica o un impellente desiderio di affermarsi diversi, la tua è un semplice indumento, comodo, prontamente svestito quando si mette piede in sala stampa, perché quello è tempo di cravatta, di abito buono, si sarebbe detto un tempo, come lo spasimante che lo indossa per fare bella figura e, anche con l’ultimo bottone aperto, il gesto, quello che conta, è apprezzato con l’affetto di chi vede trasudare rispetto persino dalle parole, ruvide al punto giusto, a volte anche spicciole, però mai banali, mai ipocrite. Il plauso a Castori è stato unanime e molto più importante di una panchina d’argento vinta per un voto.

    L’altro grande applauso è per la squadra, per la loro passione autentica, più forte persino delle occhiatacce di campioni blasonati, quegli sguardi che ti fanno sentire sempre fuori luogo. Verrà anche il tempo per parlare di errori, pochi e tutti comprensibili. Ora è il momento di sfilare al cospetto di un pubblico che, pur nello sconforto, trova la forza di un ultimo tributo di stima verso un gruppo di improvvisati della massima serie che, nella massima serie, ha rischiato di fare il colpaccio. Tra la gloria e la rassegnazione la distanza è di un punto, un punto maledetto che, col senno di poi, sarebbe potuto venire da una gara qualsiasi. Ma non è tempo neppure di questo, non è tempo di rigori assurdi o di formazioni sbagliate. Ora è tempo di prenderseli questi applausi, alla faccia dei primatisti e dei capicannonieri. Verrà il tempo per un nuovo inizio, sicuramente più modesto ma certamente sempre emozionante. Buona fortuna e grazie per le emozioni perché, le emozioni, almeno quelle, non sono mai inutili.

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