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Caro Agnelli, è ora di rivedere lo slogan
Se fosse vero che vincere è l’unica cosa che conta, dovremmo considerare scamorze Zoff e Altafini, Capello e Anastasi, Furino e Salvadore che a Belgrado, il 30 maggio 1973, si opposero invano allo strapotere dell’Ajax di Cruijff. Ed è vero che il Milan quattro anni prima aveva travolto l’Ajax a Madrid (4-1): ma Cruijff era un astro nascente e Rivera e Prati lo avevano incrociato nel posto giusto al momento giusto, cosa che non capitò al Panathinaikos (1971, 0-2), all’Inter (1972, 0-2) e alla Juventus (1973, 0-1). Se così fosse, bisognerebbe sospettare che i campioni del mondo Gentile e Cabrini, Zoff e Scirea, Tardelli e Paolo Rossi non siano stati poi quei campioni che tutti pensiamo se è vero che il 25 maggio 1983, ad Atene, si fecero infinocchiare dall’Amburgo (sic). Un gol di Magath bastò ad Happel per sparigliare le carte (1-0) e mandare il Trap in tilt. E Rossi capocannoniere con 6 gol e Platini vice con 5 non servirono a nulla.
Se fosse vero che vincere è l’unica cosa che conta, dovrebbero andare a nascondersi Deschamps e Zidane, Peruzzi e Bobo Vieri, Boksic e Ferrara che il 28 maggio 1997, a Monaco, in una finale che non avrebbe dovuto avere storia si squagliarono (1-3) contro il Dortmund dei rifiuti della serie A (ex Juve in primis): Kohler e Reuter, Moeller e Paulo Sousa, Sammer e Riedle. Hitzfield si prese gioco di Lippi, che tolse Porrini e mise Del Piero, poi tolse Boksic e mise, ehm, Tacchinardi. Se così fosse, Lippi avrebbe dovuto ritirarsi a vita privata, l’anno dopo, quando il 20 maggio 1998 ad Amsterdam la Juve di Del Piero (capocannoniere con 10 reti), Inzaghi e Zidane si fece ipnotizzare dal (poco) leggendario Real Madrid di Raul, Morientes e Mijatovic tornando a casa piagnucolante per il sospetto di un fuorigioco di Mijatovic nell’azione del gol.
Se fosse vero che vincere è l’unica cosa che conta, Lippi avrebbe dovuto gettarsi dalla Town Hall di Manchester quando il 28 maggio 2003, all’Old Trafford, vide Dida parare non uno, non due, bensì tre rigori a Trezeguet, Zalayeta e Montero nella finale contro il Milan (e con lui avrebbero dovuto lanciarsi anche Moggi e Giraudo, i boss che due anni prima si erano sbarazzati di Ancelotti considerato un allenatore perdente). Se così fosse, non avremmo dovuto vedere Allegri in panchina, sabato a Cardiff, dopo che il 6 giugno 2015, a Berlino, la sua Juve era colata a picco (1-3) nella finale contro il Barcellona di Luis Enrique, non proprio paragonabile al favoloso Barça di Pep Guardiola.
Questo slogan, “vincere è l’unica cosa che conta”, in bocca al club famoso per non vincere mai l’unica coppa che conta, ha fatto il suo tempo. Se Agnelli è d’accordo, che sia dimenticato. I bambini ringrazieranno. Gli educatori pure. E anche il ricordo delle tragedie, compiute o solo sfiorate, sarà per tutti meno pesante.
Paolo Ziliani per Ilfattoquotidiano.it