Cari 'filocinesi', l’orgoglio non si vende!
Non so voi. A me, strada facendo, capita di stupirmi sempre meno per le cose che si sentono e che si vedono. Oggi poi, ben oltre la presunta metà del percorso, l’effetto-sorpresa fa praticamente parte dei ricordi e basta.
Suppongo si tratti di una forma di indifferenza piuttosto normale per ciascuno e per ogni epoca storica, sicchè la prendo come viene. Ma, come suggerisce il saggio, al peggio non vi è fine. E allora qualche piccolo balzo sulla sedia mi capita ancora di farlo.
Leggo di Hulk, che non è il supereroe dei fumetti inventato dalla coppia di creativi americani Lee & Kirby e distribuito dalla Marvel fin dal 1963, semmai un giocatore di calcio brasiliano per il cui trasferimento dallo Zenit di San Pietroburgo in Cina si è realizzata un’operazione certamente più “incredibile” del già “Incredibile” personaggio dei cartoon. Cinquantasei milioni di euro nelle casse della società russa. 20 milioni al fortunato Givanildo Vieira de Sousa il cui soprannome di Hulk gli è stato dato per la somiglianza con l’attore Lou Ferrigno interprete al cinema del micidiale “gigante verde”. Un buon giocatore per una cifra pazzesca che viene da chiedersi come, quando e se l’ex “nino de rua”del Paranà riuscirà a spenderla tutta in questa vita. Suppongo si tratti di una forma di indifferenza piuttosto normale per ciascuno e per ogni epoca storica, sicchè la prendo come viene. Ma, come suggerisce il saggio, al peggio non vi è fine. E allora qualche piccolo balzo sulla sedia mi capita ancora di farlo.
Ma, non è più un mistero per nessuno, i cinesi di ultima generazione sono fatti così. Non badano a versare cascate di denaro quando appena li sfiora l’idea che un determinato e ben mirato investimento finanziario possa almeno fare raddoppiare la cifra dell’esposizione. Così anche dall’affare-Hulk, apparentemente fuori da ogni logica di buon senso economico, i molto onorevoli imprenditori di Pechino sanno già come estrarranno il famoso coniglio dal cilindro. Ma non è questo che a noi italiani deve interessare più di tanto, anche se provvede a disegnare una strategia di mercato molto particolare.
La discesa dei cinesi sul nostro territorio calcistico è oramai un dato di fatto inconfutabile e, con ogni probabilità, anche irreversibile. L’ultimo colpo l’altro giorno quando un gruppo di Sciangai ha acquisito tutti i diritti per trasmettere tutte le partite delle squadre italiane all’estero. Ora in attesa che lo stesso Berlusconi, tradendo se stesso e la sua parola popolo rossonero, dia il segnale di via libera per la cessione del Milan, il principino Zhang Jindong figlio dell’uomo che presiede l’impero Suning si è insediato nella sala dei comandi del’Internazionale Calcio. Accanto a lui, per il momento è in attesa di faraonica liquidazione, il thailandese Thohir il quale durante la cerimonia battesimale si è lasciato andare promettendo alla tifoseria nerazzurra colpi di mercato da effetti speciali per la costruzione di una squadra stellare.
E’ necessario credergli, se si vuole mantenere il diritto di sognare. Difficile che bluffi, anche perchè tanto i soldi non sono più i suoi. E dal loggione, idealmente, è arrivata una voce netta e chiara: ”Sarà come l’Inter di Angelo Moratti e comunque migliore di quella di Massimo”.
Ora, crocifiggetemi pure cari tifosi “filocinesi” milanisti o interisti che siate, ma francamente l’accostamento “storico, sociale e ance morale” tra l’Inter morattiana e quella asiatica mi suona alle orecchie al pari di una bestemmia. Così come avverrà per il “dopo Silvio” alla cinese. Sia chiaro, non ho dubbi sul fatto che i nuovi padroni abbiano tutte le migliori intenzioni al fine di allestire il famoso e tanto atteso “squadrone” con il quale vincere in Italia e in Europa. Il fatto che ci riescano a tempi brevi è tutto da dimostrare anche perché, specialmente nel nostro Paese del calcio talvolta creativo, i quattrini da soli non bastano per essere vincenti. Magari, comunque, ce la faranno e il popolo nerazzurro potrà godersela. Cosa che vale anche per il Milan, semmai dovesse realizzarsi ciò che appare inevitabile. Una bevanda dolcissima, ma con il fondo amaro. Molto amaro.
Domando. Basta davvero vincere specialmente se si è consapevoli che il successo è frutto di uno strapotere squisitamente finanziario, quindi fatalmente arrogante, che prescinde da qualità meno rozze dell’interesse come la fantasia, la capacità, la bravura, il senso dell’appartenenza, un sano nazionalismo extra leghista, l’amore, la passione e soprattutto l’orgoglio in questo caso “milanese” e quindi italiano? Risposta. Assolutamente no. Non amo il gioco d’azzardo e mi intristiscono i “casino”. Però è come se al tavolo verde si trovassero, testa a testa, un giocatore con i tasca qualche milione e uno con poche centinaia di euro. Il finale è scontato come sarà tiepida la soddisfazione per il vincitore.
Vedete, da ragazzino tifavo per i pellerossa, per poi passare dalla parte dei più deboli sino a quella dei dannati della terra. Tutti, quasi sempre, battuti e vinti. Ma l’orgoglio, l’amore, la passione e l’idea del gruppo no. Continua e continuerà a vivere per combattere. Hasta la victoria, siempre…