fabio.manfreda
Capello, Ranieri o Spalletti? Scegliete un ct 'consistent' e mettetelo in garage
Forse non lo sapeva, magari sì, ma quell'immagine restituisce in maniera perfetta il quadro di quanto sta accadendo al calcio italiano da almeno un decennio.
La vittoria del Mondiale 2006 fu nervosa e meravigliosa, esaltante e inattesa, ma non poteva aprire un nuovo ciclo vincente. Semplicemente perché la squadra di Buffon e Zambrotta, Cannavaro e Grosso, Pirlo e Del Piero, Totti e Toni, Zaccardo e Iaquinta, era composta da campioni almeno già a metà della loro straordinaria carriera. Seguirono anni di difficoltà, eccezione fatta per l'ultimo Europeo, dove Prandelli ebbe a disposizione il miglior Balotelli. Stop. Anni dove Donadoni e poi sempre Prandelli e infine Conte, ribadirono con sempre maggiore forza un concetto: per essere vincenti serve trasformare la Nazionale in una squadra. E cioè: non assemblarla come una selezione, ma allenarla come una squadra, molto e spesso, anteponendo gli stage alle voraci esigenze dei club. Scegliendo dunque un 'ossatura, un gioco e almeno un modulo di partenza, un meccanismo da perfezionare grazie a periodici allenamenti. Da qui sono nate richieste, polemiche, accuse e rotture, con Prandelli e soprattutto Conte pronti a dire che la scarsa competitività negli Azzurri era causata da stage promessi e poi cancellati, dalla scarsissima disponibilità dei club nel concedere i loro giocatori alla Nazionale. Così alla fine Conte ha spiegato il motivo prevalente della sua rottura con l'Italia, trascurando la forza persuasiva dell'ingaggio che gli è stato offerto da Abramovic. Così Prandelli potè in parte giustificare il fallimento del Mondiale in Brasile. La polemica, in verità, si scaldò alla vigilia della spedizione sudamericana. Bastò però una breve ricerca statistica per sapere che la Germania aveva fatto meno stage dell'Italia. E malgrado questo in Brasile ha vinto l'ultimo Mondiale. Allora, mettiamola così, facciamo almeno un tentativo: mettiamo l'argomento stage in uno scatolone e sistemiamo tutto in un garage.
Perché per rilanciare il calcio italiano servono idee, non stage, almeno non solo. E dunque pare ormai assodato che un garage è il miglior posto per allenare le idee, i casi esemplari ve li abbiamo già elencati. Idee: in Spagna hanno sostituito l'autorimessa con la “cantera”, così hanno finalmente vinto qualcosa e poi tutto in Europa e nel mondo, hanno “sbracato” in Brasile, ma sono tornati presto competitivi. In Italia la “cantera” è solo una parola priva di significato.
Idee: in Francia e poi in Germania hanno costruito centri federali, mettendo a disposizione educatori e strutture, rispondendo all'idea di una banale equazione: meno balordi per strada, più atleti di qualità in campo.
A poche settimane da Euro 2016 in Italia pare di moda una nuova discussione: per la Nazionale è meglio un allenatore o un selezionatore? Modestamente: un selezionatore dovrebbe scegliere i migliori giocatori allenati con cura, cresciuti nei centri federali e poi impiegati e allenati dai club di appartenza. Quindi, per iniziare, servirebbero idee per far crescere i giovani. Idee nuove e forti, per lo sport e per il calcio. Quest'ultimo ha un problema in più. E' soffocato dagli interessi di presidenti più abili speculatori che solidi investitori. Non tutti, certo, ma alcuni, anche tra quelli che contano. Questo impedisce che le idee abbiano il tempo necessario per svilupparsi. Bisogna fare in fretta, guadagnare e parcheggiare la fuoriserie in garage.
Intanto il dopo Conte è già iniziato. A scegliere il nuovo commissario tecnico sarà anche Carlo Tavecchio, presidente federale. Non so se abbia un garage, neppure voglio pensare a cosa gli possa servire. Ora, discutete pure se sia meglio puntare ancora su un allenatore o tornare al selezionatore, ma trovate uno che abbia in testa idee nuove e il coraggio per realizzarle. Uno che gli statunitensi definirebbero “consistent”, come Jeff Bezos, sempre quello di Amazon. Non c'è una traduzione perfetta in italiano, ma “consistent” è chi sa trasformare le idee (e i sogni) in realtà.
Magari uno che abbia visto cose fuori dall'Italia, come Capello, Ranieri, Mancini, De Biasi o Spalletti. Uno che abbia avuto molto tempo libero per studiare e crescere ancora, come Mazzarri. La fila è lunga, l'ultimo chiuda la porta. L'ultimo chiuda la porta. Del garage, ovvio.