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    Caos arbitri, Rocchi è con le spalle al muro: basta difendere qualcosa che non è più calcio

    Caos arbitri, Rocchi è con le spalle al muro: basta difendere qualcosa che non è più calcio

    • Andrea Distaso
      Andrea Distaso
    E' davvero complicato guardare al futuro con fiducia, dopo un weekend nel quale il mondo arbitrale italiano ha confermato una volta di più i suoi enormi problemi. Una questione tecnica – soprattutto i giovani fischietti faticano ad emergere per qualità e carattere, i “vecchi” non hanno probabilmente quello spessore per accelerarne la crescita – ma principalmente psicologica. E' ormai certificato che l'avvento del VAR, invece che contribuire all'eliminazione delle zone d'ombra per quelle casistiche per le quali lo spazio interpretativo non può e non deve esistere (gravi falli di gioco, gesti-antisportivi), ha finito per portare alla vivisezione di ogni singolo momento delle partite, come se in ciascuno di essi ci fosse per forza una svista. Togliendo quel potere decisionale e quel margine interpretativo che per natura deve appartenere ad un buon arbitro. Ma l'errore più grave e più grande perpetrato dal designatore Gianluca Rocchi e dalla sua squadra di arbitri è l'assecondare un regolamento che, per come ormai ci viene illustrato, sta sempre più violentando l'essenza più profonda del gioco del calcio.

    Il turno di campionato ormai in archivio avrebbe dovuto riconsegnarci una squadra arbitrale che avesse fatto tesoro degli errori commessi nella giornata prima della pausa per la nazionali e che Rocchi – in diretta televisiva - non ha avuto paura di nascondere nei giorni scorsi. Ha provato a fare chiarezza tra le pieghe di alcune delle norme più controverse – il grave fallo di gioco che può portare ad un'espulsione o il fallo di mano in area – ma ha soprattutto lanciato un monito circa la necessità di recidere questo rapporto di dipendenza dalla tecnologia che sembra essere ormai connaturato nei direttori di gara che si avvicendano sui campi della Serie A. E ha ribadito l'importanza di creare un concetto di uniformità che tuttavia, anche nell'ultimo fine settimana, è stato ampiamente disatteso. Al tempo stesso però Rocchi e, più sopra di lui, ha messo mano negli ultimi tempi al regolamento del calcio, continuano a difendere e perorare una modalità di arbitraggio che con questo gioco non ha niente a che vedere. Alimentando il forte sospetto che chi legifera abbia una conoscenza scarsa e altrettanto poca affinità con la pratica di questo sport.

    Il “rigorino” alla Anjorim-Politano, il “contattino” tra Reijnders e Lovric che porta all'espulsione del giocatore del Milan non sono episodi da “calcio vero”. Uno sport da sempre di contatto e che, per definizione, dovrebbe darsi un margine di tolleranza molto più alto sulle situazioni da 50 e 50. Non è possibile assistere a partite in cui un tocco fortuito e lieve sul piede di un avversario venga giudicato con estrema severità in area di rigore e interventi più robusti e pericolosi in altre zone del campo vengano trattate con altro atteggiamento. Non è possibile che un braccio, per quanto staccato del corpo nell'ambito di un movimento un po' scomposto ma che segua i principi basilari della dinamica diventi automaticamente da penalty. Non è possibile che il fuorigioco sia diventato una questione di centimetri, quasi di millimetri: quelli che l'occhio umano non può fisicamente vedere e per cui nessuno si scandalizza.

    Non è possibile sentire settimanalmente affannose e affannate arrampicate sugli specchi, per difendere valutazioni arbitrali che con lo spirito col quale era stato concepito il calcio non hanno niente a che vedere. E' ormai chiaro da tempo che l'Ifab – l'organo che si occupa delle modifiche regolamentari – recepisce sempre più i scriteriati input di una Fifa e di una Uefa votate sempre più ad un calcio che deve essere intrattenimento (per televisioni e sponsor) e show business e nel quale maggiori sono le possibilità di segnare dei gol e maggiore sarà l'interesse e il fascino suscitati all'esterno. Si vuole più spettacolo e dunque si diminuisce, quasi annullandolo, il margine di errore in campo dei giocatori per generare altri gol; si fa un uso smodato e scriteriato della tecnologia non per dare più potere agli arbitri, ma fondamentalmente per toglierglielo e rendere tutto più automatizzato e codificato.

    Si possono raccontare tutte le verità che si vogliono nei salotti televisivi e nei raduni arbitrali. Ma continuare ad ignorare che ci siano due grandi problemi al giorno d'oggi – la sensibilità umana di chi dirige le partite e un regolamento sempre più staccato dalla realtà – è negare l'evidenza. I padroni del vapore, già nel mirino della critica per un calendario calcistico saturo e il cui prezzo lo stanno pagando i calciatori con continui e gravi infortuni, quanto pensano di andare avanti con questa roba qua?

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    ILpolemiCA
    ILpolemiCA

    Articolo scritto bene. Bravo

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