Campione con la squadra di Fidel e ct di Cuba, Mambrini: 'Voglio allenare in Italia. A chi mi ispiro? Adoro Sarri'
E’ stata lunga la strada, è ancora lunga l’attesa. Lorenzo Mambrini (nella foto di atvreport), 40 anni, umbro di Città di Castello, è andato fino a Panama e poi a L'Avana, ha vinto tanto in poco tempo (tre campionati in tre anni), conquistato la nazionale e il cuore dei cubani, insegnando calcio a tutti come mai nessuno prima. “Mambrini ha rivoluzionato il calcio” hanno detto e scritto di lui e dei suoi risultati. Adesso è tornato in Italia e aspetta una panchina “nel Paese che tanto amo e del quale sono sempre stato orgoglioso”.
Mambrini pensa di meritare almeno due cose: l’offerta di un club (“Serie C o Serie D” per me non fa differenza”) e l’ammissione al corso Uefa Pro che dà diritto ad allenare squadre di serie A o B. Il tono è deciso, ma non enfatico. Mambrini è uno che crede in quello che dice e, soprattutto, in quello che fa. “In questi mesi mi sono rimesso in fila. Ho ricevuto una serie di chiamate da diversi procuratori, ma ancora non è saltato fuori nulla. Purtroppo sono rientrato in Italia a giugno, alla scadenza del contratto con la Federazione cubana, quando quasi tutte le società avevano già scelto l’allenatore e fatto la squadra. Guidare la nazionale cubana per due anni è stata una grande responsabilità, mi sentivo di rappresentare l’Italia”.
Mi racconta come ha fatto ad arrivarci?
“Intanto bisogna dire che quando partii per il Centro-america molti, per non dire tutti, si mettevano a ridere. Ma io non mollo mai. Credo nel campo e credo nel lavoro. E ricordo a chi se lo fosse dimenticato che Panama è andata al Mondiale, noi no. A Panama allenavo l’Arabes Unidos, vincemmo subito il campionato, insieme al maestro colombiano Milton Ruiz. Allora fui contattato da Cuba da una squadra caduta in serie B. Era L'Avana, un club storico della capitale. L’abbiamo riportata in Serie A”.
E poi venne il Santiago di Cuba, la squadra del Comandante Fidel. “Esatto. Non vinceva il titolo da 102 anni. Il 24 giugno 2017 ce l’abbiamo fatta. Sono stato ricoperto di onorificenze. Mariela Castro, la nipote di Raul, mi diede la Chiave della città, il massimo riconoscimento per cittadini illustri”.
Dall’Italia, invece, solo silenzio?
“No. Per la verità il Coni mi ha donato un piatto d’argento quale allenatore italiano più vincente di tutto il Centro-america. Quel piatto è nella mia camera, lo tengo come una reliquia”.
A Cuba quante squadre partecipano alla massima categoria?
“Quattordici per 26 partite. Dodici, invece, sono le squadre in serie B”.
Quando si svolgono i campionati?
“Dai primi di gennaio ai primi di giugno”.
C’è gente negli stadi?
“Moltissima. Da non credere. Ma il bello è quello che si vede nelle strade. Bambini e ragazzi che giocano fino a sera con una pallina da tennis o da baseball. A baseball giocava Fidel, è una disciplina che fanno tutti, ma in questi ultimi anni il calcio lo ha superato”.
Com’è il livello tecnico, tattico, atletico e agonistico?
“La nazionale cubana potrebbe essere avvicinata ad una squadra di Serie C di alta classifica. In Lega, cioé nel campionato, il livello è collocabile tra una bassa Serie C e un’alta Serie D”.
Con la nazionale di Cuba com’è andata?
“Abbiamo battuto 2-0 Santo Domingo e fatto 0-0 con Curacao, guidata da Patrick Kluivert, l’attuale vice di Seedorf al Camerun. Poi 3-0 alla Giamaica, 3-3 in Honduras, vinto 5-0 con la piccola isola di Santa Lucia”.
Avete disputato la qualificazione mondiale?
“Quando la presi io, all’inizio del 2017, Cuba era già fuori”.
Qual è stata la maggiore soddisfazione?
“Per paradosso la sconfitta con gli Stati Uniti di Jurgen Klinsmann. Era il 7 ottobre 2017 e giocavamo a L'Avana. Abbiamo resistito più di 80 minuti. Hanno fatto il primo gol all’83’ e il secondo al 90’. Una grande partita”.
E adesso cerchi squadra, hai detto che tra C e D non fai differenza. Ma che tipo di allenatore sei?
“Non sono una persona capricciosa, gioco secondo le caratteristiche dei calciatori che mi mettono a disposizione, cerco di capire i problemi e le ragioni della società. Quando arrivo in un posto non chiedo sei o sette giocatori nuovi. E poi non credo nei nomi”.
Cosa vuoi dire?
“Che in serie B, in C e in D non ci sono Cristiano Ronaldo o Van Basten. Io credo nel lavoro collettivo, in un gruppo omogeneo. E poi penso che in uno spogliatoio sia fondamentale anche il fattore umano, bisogna sapersi voler bene”.
Hai avuto qualche contatto?
“Siamo figli dei risultati, vale per me e vale per tutti. Domenica scorsa se una squadra avesse perso, quasi sicuramente in settimana avrei avuto un incontro con il presidente di quella società. Invece ha vinto ed è sfumato tutto. Io, però, non auguro la sconfitta a nessuno”.
Se sei andato ad allenare in Centro-america immagino che non ti spaventi nulla del calcio italiano.
“Io nelle sofferenze mi esalto. Ho scelto Panama e Cuba perché non c’era nulla di scontato, non ho mai avuto situazioni facili, neanche da giocatore”.
Che carriera hai fatto?
“Modesta, a livello di serie C. Ho giocato con l’Arezzo di Cosmi e nel Pisa di Bersellini, due grandi maestri”.
Sistema di gioco preferito?
“Quello che dà più equilibrio, cioé il 4-4-2. Ma, come ti ho detto, mi adatto ai giocatori che ho”.
Ti ispiri a qualcuno?
“No, ma mi piacciono quelli che vengono dalla strada, come Maurizio Sarri. E quelli che studiano. Oggi sono i dettagli a farti arrivare al risultato”.
Mambrini pensa di meritare almeno due cose: l’offerta di un club (“Serie C o Serie D” per me non fa differenza”) e l’ammissione al corso Uefa Pro che dà diritto ad allenare squadre di serie A o B. Il tono è deciso, ma non enfatico. Mambrini è uno che crede in quello che dice e, soprattutto, in quello che fa. “In questi mesi mi sono rimesso in fila. Ho ricevuto una serie di chiamate da diversi procuratori, ma ancora non è saltato fuori nulla. Purtroppo sono rientrato in Italia a giugno, alla scadenza del contratto con la Federazione cubana, quando quasi tutte le società avevano già scelto l’allenatore e fatto la squadra. Guidare la nazionale cubana per due anni è stata una grande responsabilità, mi sentivo di rappresentare l’Italia”.
Mi racconta come ha fatto ad arrivarci?
“Intanto bisogna dire che quando partii per il Centro-america molti, per non dire tutti, si mettevano a ridere. Ma io non mollo mai. Credo nel campo e credo nel lavoro. E ricordo a chi se lo fosse dimenticato che Panama è andata al Mondiale, noi no. A Panama allenavo l’Arabes Unidos, vincemmo subito il campionato, insieme al maestro colombiano Milton Ruiz. Allora fui contattato da Cuba da una squadra caduta in serie B. Era L'Avana, un club storico della capitale. L’abbiamo riportata in Serie A”.
E poi venne il Santiago di Cuba, la squadra del Comandante Fidel. “Esatto. Non vinceva il titolo da 102 anni. Il 24 giugno 2017 ce l’abbiamo fatta. Sono stato ricoperto di onorificenze. Mariela Castro, la nipote di Raul, mi diede la Chiave della città, il massimo riconoscimento per cittadini illustri”.
Dall’Italia, invece, solo silenzio?
“No. Per la verità il Coni mi ha donato un piatto d’argento quale allenatore italiano più vincente di tutto il Centro-america. Quel piatto è nella mia camera, lo tengo come una reliquia”.
A Cuba quante squadre partecipano alla massima categoria?
“Quattordici per 26 partite. Dodici, invece, sono le squadre in serie B”.
Quando si svolgono i campionati?
“Dai primi di gennaio ai primi di giugno”.
C’è gente negli stadi?
“Moltissima. Da non credere. Ma il bello è quello che si vede nelle strade. Bambini e ragazzi che giocano fino a sera con una pallina da tennis o da baseball. A baseball giocava Fidel, è una disciplina che fanno tutti, ma in questi ultimi anni il calcio lo ha superato”.
Com’è il livello tecnico, tattico, atletico e agonistico?
“La nazionale cubana potrebbe essere avvicinata ad una squadra di Serie C di alta classifica. In Lega, cioé nel campionato, il livello è collocabile tra una bassa Serie C e un’alta Serie D”.
Con la nazionale di Cuba com’è andata?
“Abbiamo battuto 2-0 Santo Domingo e fatto 0-0 con Curacao, guidata da Patrick Kluivert, l’attuale vice di Seedorf al Camerun. Poi 3-0 alla Giamaica, 3-3 in Honduras, vinto 5-0 con la piccola isola di Santa Lucia”.
Avete disputato la qualificazione mondiale?
“Quando la presi io, all’inizio del 2017, Cuba era già fuori”.
Qual è stata la maggiore soddisfazione?
“Per paradosso la sconfitta con gli Stati Uniti di Jurgen Klinsmann. Era il 7 ottobre 2017 e giocavamo a L'Avana. Abbiamo resistito più di 80 minuti. Hanno fatto il primo gol all’83’ e il secondo al 90’. Una grande partita”.
E adesso cerchi squadra, hai detto che tra C e D non fai differenza. Ma che tipo di allenatore sei?
“Non sono una persona capricciosa, gioco secondo le caratteristiche dei calciatori che mi mettono a disposizione, cerco di capire i problemi e le ragioni della società. Quando arrivo in un posto non chiedo sei o sette giocatori nuovi. E poi non credo nei nomi”.
Cosa vuoi dire?
“Che in serie B, in C e in D non ci sono Cristiano Ronaldo o Van Basten. Io credo nel lavoro collettivo, in un gruppo omogeneo. E poi penso che in uno spogliatoio sia fondamentale anche il fattore umano, bisogna sapersi voler bene”.
Hai avuto qualche contatto?
“Siamo figli dei risultati, vale per me e vale per tutti. Domenica scorsa se una squadra avesse perso, quasi sicuramente in settimana avrei avuto un incontro con il presidente di quella società. Invece ha vinto ed è sfumato tutto. Io, però, non auguro la sconfitta a nessuno”.
Se sei andato ad allenare in Centro-america immagino che non ti spaventi nulla del calcio italiano.
“Io nelle sofferenze mi esalto. Ho scelto Panama e Cuba perché non c’era nulla di scontato, non ho mai avuto situazioni facili, neanche da giocatore”.
Che carriera hai fatto?
“Modesta, a livello di serie C. Ho giocato con l’Arezzo di Cosmi e nel Pisa di Bersellini, due grandi maestri”.
Sistema di gioco preferito?
“Quello che dà più equilibrio, cioé il 4-4-2. Ma, come ti ho detto, mi adatto ai giocatori che ho”.
Ti ispiri a qualcuno?
“No, ma mi piacciono quelli che vengono dalla strada, come Maurizio Sarri. E quelli che studiano. Oggi sono i dettagli a farti arrivare al risultato”.