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Caldara: 'Ho pensato di smettere per mezzo secondo. Milan e Atalanta, che calvario! A Venezia sono un altro...'
Il primo infortunio al Milan: "Il primo infortunio al tendine d’Achille diciamo che non me l’aspettavo. Perché non avevo sensazioni particolari, quando mi sono fatto male ho sentito una forte fitta e pensavo che qualcuno mi avesse dato un calcio da dietro. Poi mi sono girato e dietro non c’era nessuno. C’era Cutrone a due metri da me, ma era impossibile che mi avesse dato un calcio. Allora lì è stata la prima vera botta mentale perché ho capito che non era una cosa da poco. Infatti fino all’ultimo non sapevano se farmi l’operazione perché il tendine era rimasto attaccato per il 10%. Per il dottore in Finlandia non era da operare, e infatti sono dovuto stare per 50 giorni con il gesso senza fare nulla. Dopo 4-5 mesi cominciavo a star bene, era ormai marzo/aprile. Ho fatto la partita di Coppa Italia contro la Lazio e giocando mi sentivo sempre meglio, una situazione che non sentivo da un po’: in allenamento sentivo sempre un po’ di fastidi, quando sai di non stare proprio bene bene.
Il peggio sembrava essere allo spalle, ma purtroppo Caldara si fa male di nuovo: "Mi sono detto dopo la partita: “Forse ci siamo”. Faccio la settimana di allenamento prima della partita col Torino e lì in un contrasto con un mio compagno mi sono rotto crociato e collaterale. Lì mentalmente davvero è stato come se mi avesse colpito un qualcosa davvero brutto, perché dentro di me sentivo che ormai c’ero per stare bene, ormai non sentivo più niente al tendine d’Achille. Sentivo proprio che mancava poco, stavo bene. È stata ancora più dura della prima. Erano i primi di maggio, c’è voluto qualche giorno prima di realizzare che mi sarei fatto un’altra mezza stagione fuori. Sono andato a Roma nei primi mesi per la riabilitazione, poi sono rientrato a Milano a settembre. Ci volevano però altri due mesi e fino a novembre ho fatto allenamento a parte. Era periodo di Giampaolo, che non ho mai vissuto perché è arrivato Pioli: in uno dei primi allenamenti con lui ho iniziato ad andare in gruppo. Ho fatto alcuni allenamenti con loro, stavo abbastanza bene. Mai con la sensazione del ginocchio perfettamente recuperato ma mi dicevo che se fossi riuscito ad allenarmi con continuità mi sarebbe passato. Ho fatto un paio di amichevoli con la Primavera e sentivo che non stavo bene, che avevo ancora bisogno di tempo probabilmente. A gennaio ho parlato con il mister e mi ha detto di avere ancora un po’ di pazienza.
Il passaggio all'Atalanta: "Ho avuto la possibilità di tornare a Bergamo e ho pensato che conoscendo già come giocano e visto che hanno ancora fiducia in me allora lì faccio prima a recuperare, anche a livello mentale. Allora ho preso questa opportunità di tornare a Bergamo: il Milan mi ha dato la possibilità di andare a giocare, anche secondo loro era la cosa migliore per recuperare la testa. Sono arrivato a Bergamo a metà gennaio e ho fatto la partita contro la Fiorentina, la prima partita ufficiale dopo che mi ero fatto male. Ho fatto settanta minuti e ho pensato che fosse andata bene. Poi ho fatto altre due partite e stavo iniziando a prendere il ritmo. È arrivata la partita contro il Valencia a San Siro: non dovevo giocare ma si è fatto male Djimsiti e sono partito dall’inizio. È il ricordo più bello che ho dopo l’infortunio, ho giocato 70 minuti in un quarto di finale di Champions League e abbiamo vinto. Poi c’è stato il lockdown, quando siamo rientrati ho avuto un altro problema al tendine rotuleo del ginocchio, e anche lì è stata dura. Ho pensato: “Ma come faccio? Ho 25-26 anni e ogni due per tre mi faccio qualcosa, ma come è possibile?”. Lì è cominciato dentro di me uno studio, perché non è possibile a 26 anni aver avuto così tanti infortuni, ci sarà stato qualcosa in cui avrò sbagliato. Quindi da lì ho cominciato a cambiare un po’ abitudini, anche quello che mangiavo. Ho provato a mangiare più verdura, e ho cominciato a pensare di dover cambiare qualcosa. Così non potevo andare avanti, non era possibile. O geneticamente ero una mezza cartuccia o c’era qualcosa che non andava.
La ripresa, tra riflessioni e nuove sfide: "Da lì ho iniziato anche un percorso di riflessione personale, aiutato anche dalla mia compagna. Anche lei non stava bene, mi diceva: “Cavolo, hai 26 anni e il tuo lavoro è giocare a calcio, ma non riesci mai a giocare a calcio come vorresti”. Mi è stata parecchio vicina e mi ha aiutato. Sono arrivato alla fine dell’anno che dopo l’ultimo infortunio a Bergamo ho giocato mezza partita. Dovevo dimenticare tutto il circolo vizioso ed è quello che pensava anche la mia compagna: uscire dagli stessi schemi che facevo da tre anni poteva aiutarmi a trovare quello che facevo da sempre, giocare a calcio. Quando ho avuto la possibilità di venire qua a Venezia, sono venuti addirittura il mister e il direttore a parlarmi qua a Milano, è stata la scintilla che mi mancava. Probabilmente neanche io avevo fiducia in me stesso così tanto come me l’hanno dimostrata loro. La mia compagna mi ha detto: “Come ti ho visto negli ultimi due anni non ti posso più vedere, se pensi che sia la scelta giusta andare e cambiare noi siamo con te”. Questo mi ha portato qui, e da quando sono qui sono un’altra persona. Sono molto più sereno, torno a casa felice perché riesco ad allenarmi bene e gioco tutte le partite. Da quando mi vede felice e mi vede giocare col sorriso mi dice che sono un’altra persona. È vero, anche io sento che è cambiato qualcosa”.
Hai mai pensato di smettere? “Quando non riesci di venire a capo di una situazione che dura da tanto tempo c’è stato un mezzo secondo in cui ho pensato di dire… non basta, non lo so… Ma c’era qualcosa che dicevo: “Cavolo, non riesco ad essere felice perché non riesco più a fare quello che voglio e come voglio”. Mi sentivo limitata. C’è stato mezzo secondo che l’ho pensato, ma mi sono detto che non potevo mollare adesso. Mi sono detto che dovevo fare io qualcosa in più per poter fare qualcosa per questa nebbia che avevo in testa. E infatti fortunatamente è stato così”.