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Calcioscommesse, Izzo si difende: 'Non butterò via tutto, quando Mazzarri mi diede i soldi per le scarpe...'
All’apertura del processo la procura federale le ha contestato di aver 'mentito': a loro lei disse di non essere stato a cena con Accurso, un boss alla Gomorra. Alla Dda di Napoli invece lo ha ammesso. Come lo spiega?
"Al primo interrogatorio in procura federale non mi ricordavo, frequentiamo mille locali a settimana, non ricordavo di essere stato lì, non c’ero mai stato né prima né dopo. Il pm invece mi ha citato un episodio, in cui Millesi, il capitano, che era lì quando sono entrato è sbucato da un angolo facendomi uno scherzo. Allora mi sono ricordato. Sono stato 20 minuti, mi aveva chiamato Pini. Da lui compravo orologi e gioielli per mia moglie e mia mamma... Ha raccontato cose assurde su di me per provare a uscire dal carcere. Le due gare sotto accusa non le ho giocate. E anche le due precedenti. Avevo una cicatrice con edema, a Rastelli ho detto: 'Mister, non ce la faccio'. Lo conferma anche lui che ho chiesto io di non giocare. Se avessi avuto un patto con questi criminali come avrei potuto tirarmi indietro? Con i miei fratelli a Scampia, potevo mai mettere a rischio la mia famiglia? Siamo pazzi? Parliamo di criminali veri, lo dicono le carte. Le ho lette tutte. A un certo punto Pini dice addirittura che le partite non sono state truccate e che forse era un tentativo di truffa. Ma di cosa parliamo? Per le combine fanno dodici incontri. Tutti senza di me. Dicono che la partita con la Reggina la devono fare i senatori e che l’ignorante, cioè io, non deve sapere niente. Sapevo chi fosse il boss Antonio Accurso? Stando nel quartiere i nomi si conoscono. Ma sapere chi fosse non vuol dire nulla: sono orgoglioso di essere di Scampia, mamma lavorava per pulire le case a 6 euro l’ora. E io ho sempre cercato di evitare certa gente. Ho quattro fratelli, non rispondo per chi viveva intorno a me. Ma noi siamo stati cresciuti con dei valori, il tempo sarà galantuomo".