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    Calcio ed economia: il carrozzone italiano arranca, mentre la Juve cresce

    Calcio ed economia: il carrozzone italiano arranca, mentre la Juve cresce

    • Luca Borioni
    Il calcio globale funziona sicuramente meglio della globalizzazione, se non altro perché risulta più divertente.

    Sconfinamenti sociopolitici a parte, il terreno internazionale è quello sul quale ormai i club si confrontano per misurare la crescita soprattutto economica, anno dopo anno. Una corsa condotta, ancora una volta, dal calcio inglese (ma è anglosassone anche la leadership finanziaria mondiale) seguito a ruota da Spagna e Germania e – a distanza – dall’Italia.

    Un’inchiesta dell’inserto L’Economia del Corriere della Sera ci aggiorna su una situazione che in fondo già temevamo di conoscere. Dalle nostre parti il calcio non ha ancora raggiunto le dimensioni di business che altrove rappresentano un fenomeno molto importante. Ma – e qui torna la tentazione con i paragoni extra calcio – quello italiano è anche un movimento dotato di un potenziale notevole e tutt’ora inespresso. L’appeal del tricolore all’estero resiste, anzi cresce progressivamente, anche se il carrozzone del calcio (che del resto è attualmente affidato a un commissario di Lega, che poi è anche il presidente federale, che è tutto meno che un manager 2.0) deve ancora vedere i risultati su un piano tangibile, monetario.

    Il problema sono i costi rappresentati dagli stipendi dei dipendenti (principalmente gli ingaggi dei calciatori) che in Italia pesano sui ricavi di circa il 69% (contro il 68% della Francia, 61% Regno Unito, 60% Spagna e 52% Germania) e frenano la crescita. Costi dovuti – immaginiamo – alla solita penalizzante tassazione che ci infliggiamo oltre a una cattiva gestione generale che magari impone spese ingenti per tenere il passo della concorrenza.

    E all’interno del calcio italiano vanno fatte distinzioni. La crescita economica, manageriale e finanziaria della Juventus nelle ultime stagioni è stata evidente e fa registrare un passo decisamente più cadenzato ed efficace rispetto alla concorrenza interna.

    Prima di tutto perché – come detto – ci muoviamo in uno scenario europeo e la presenza dei bianconeri nelle coppe europee dell’ultimo lustro, pur in assenza di vittorie fin qui, non è paragonabile alle partecipazioni saltuarie e contrastate di Roma, Inter, Milan o Napoli (la Champions allargata alle prime quattro della classifica di A potrà ritoccare il trend?).

    Poi perché la Juventus è anche l’unica tra le big italiane ad avere nel patrimonio il proprio stadio, il che significa incassi maggiori al botteghino e una serie di voci ricollegabili all’indotto delle attività connesse (per le inglesi il 44% del fatturato). Non a caso, è proprio la Roma - che infatti guarda allo stadio di proprietà - a mostrare maggiori credenziali nella prospettiva di una crescita globale sulla scia della Juventus. 

    Per la quale si prevedono introiti sempre maggiori con l’inaugurazione del J Village, vale a dire il nuovo centro di allenamento della prima squadra con annesso il Centro Media, la nuova sede, il J Hotel, la scuola internazionale Wins, il Concept Store e anche una Centrale Energetica. Attualmente è già in funzione il J Medical, centro medico che oltre a ospitare i test dei nuovi acquisti, si sta proponendo e affermando anche come un luogo attrattivo per tutti gli utenti/pazienti, anche quelli magari più restii perché tifosi di altre squadre, ma oggettivamente interessati a sostenere esami medici su macchinari all’avanguardia, con pochi eguali nelle cliniche specialistiche di tutta Italia.

    Oltre ai costi di gestione, i nostri club pagano la quasi totale dipendenza dai contratti televisivi, proprio perché negli anni non hanno sviluppato modelli alternativi. Chissà che Amazon, interessata ai diritti in streaming, non possa cambiare le regole con qualche vantaggio per le italiane (difficile, considerata anche l’arretratezza nostrana delle reti veloci). Altrimenti il divario è destinato a resistere.

    Il Manchester United, che pure ultimamente non eccelle nelle coppe, è leader (secondo la ricerca del Corriere che si ferma però ai conti della stagione 2015-2016) in tutto, a cominciare dal numero di tifosi-consumatori che vanta a livello universale. La Brexit però minaccia di impoverire il calcio britannico, almeno nell’immediato. L’Italia arranca ancora a distanza, pur continuando moderatamente a crescere. L’ingresso di investitori stranieri (cinesi per Inter e Milan, americani per Bologna e Roma) è ancora de verificare, ma può portare un contributo significativo. I modelli virtuosi di Torino, Atalanta e Udinese (ecco un altro esempio di stadio di proprietà) funzionano a livello di attenzione ai costi e comunque su scala nazionale, senza il confronto oltre confine.

    Insomma, lo scenario è complesso e non si discosta molto dal trend nazionale che verifichiamo tutti i giorni sul piano delle relazioni politiche. Con l’eccezione della Juventus: e se diventasse anche un partito? (Si scherza, eh).

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