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    Cagliari, Zeman: 'Mercato aperto ci condiziona'. E su Astori...

    Cagliari, Zeman: 'Mercato aperto ci condiziona'. E su Astori...

    Il tecnico del Cagliari Zdenek Zeman ha concesso una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport. 'Io sto bene solo in mezzo al campo, ad allenare: per questo ho sempre rifiutato di fare il c.t. di una Nazionale - ha affermato il boemo -. Ancor meno mi vedrei dietro una scrivania, con mansioni da supervisore. Ho scelto il Cagliari perché qui c'è una società nuova, fatta di persone perbene, che ha voluto puntare su di me. Questo basta e avanza per iniziare una nuova avventura. Il patron Giulini ha grande entusiasmo e buone idee. Spero non glieli facciano passare... Stiamo lavorando bene, l'obiettivo è essere pronti per la prima giornata. Purtroppo il mercato aperto condiziona il nostro lavoro. De Laurentiis propone di tenerlo aperto tutto l'anno? Chi dice una cosa del genere non capisce nulla di calcio. Per me il mercato dovrebbe chiudersi prima che le squadre partano per i ritiri. Astori? Era giusto che cercasse altrove le motivazioni che al Cagliari non aveva più. Trattenere un giocatore contro la sua volontà è sempre controproducente. La Roma? Ha comprato giocatori che sulla carta la rinforzano notevolmente, però poi bisogna vedere se sul campo il rendimento sarà all'altezza delle attese. In giallorosso io ho iniziato un certo tipo di lavoro che Garcia è stato molto bravo a portare avanti. La Juve senza Conte? Non perde nulla, perché ha una storia e un organico che prescindono dall'allenatore. In quanto alle dimissioni il rapporto si era logorato, la decisione andava presa prima. Il Napoli? Deve trovare la continuità che non ha mai avuto nelle ultime stagioni. Le milanesi? Devono voltare pagina: non sarà facile, ma peggio dell'ultima annata è difficile che facciano...'.

    'La crisi del calcio italiano? Questo sport, come tanti altri, è fatto di cicli - ha proseguito Zeman -. Per tanti anni siamo stati ai vertici, ora non lo siamo più. Si deve ripartire dai giovani. Bisogna creare delle strutture al cui interno farli crescere. La soluzione migliore sono centri federali su scala regionale. In Francia lo hanno fatto una ventina di anni fa e i risultati si vedono. La violenza? Sento tanti discorsi, ma la soluzione sarebbe semplicissima. In Inghilterra trenta anni fa la situazione era peggiore di quella italiana, non vedo perché non si possa fare anche qui quello che loro hanno fatto. Gli stadi nuovi aiuterebbero, ma fino a un certo punto. Quello degli impianti per me è un falso problema: se ne parla tanto perché ci sono interessi extracalcistici a realizzarli. Ma quando lo spettacolo era migliore gli stadi erano pieni anche se vecchi. Il flop di Prandelli in Brasile? Il responsabile non è solo lui, ma che lui diventi il bersaglio principale delle critiche fa parte del gioco. E poi per quattro anni Prandelli è stato sempre esaltato, anche per i pareggi con il Lussemburgo. Troppe critiche? Ma se Sacchi è stato crocifisso dopo aver perso una finale ai rigori... Comunque è stato un Mondiale molto bello. Il migliore delle ultime edizioni. Tante Nazionali medio­piccole hanno fatto vedere cose interessanti. Soprattutto quelle latino­americane. Hanno saputo evolversi a livello di organizzazione tattica. Al contrario delle selezioni africane che proprio per questo non sono esplose come si pensava venti anni fa. Chi vedrei bene ora sulla panchina azzurra? Mancini. È stato un giocatore di alto livello, da tecnico ha vinto sia in Italia sia all'estero, conosce le lingue. Sarebbe la persona giusta al posto giusto. Balotelli? È un grande talento, è ancora in tempo ad esprimere tutto il suo potenziale. Ma deve fare in fretta. La storia del calcio è piena di fuo riclasse inespressi. Penso a Cassano. Avrebbe potuto fare molto di più. Tavecchio? La sua è stata un'uscita inopportuna e che non può non essere censurata. Però, tolta la forma, nella sostanza ha ragione. Uno dei grandi mali del calcio italiano è la presenza di troppi stranieri. Bisogna tornare a puntare sui nostri ragazzi. Il problema comunque non sono gli uomini, sono i programmi. Serve un cambiamento profondo. Con un mandato di appena due anni, Tavecchio o un altro, cosa può fare? Oggi, soprattutto in Italia, gli allenatori contano poco. E questa è una delle cause dell'impoverimento dello spettacolo. A tecnici senza esperienza vengono affidate squadre di alto livello. È sbagliato. Serve fare la gavetta prima di arrivare su certe panchine. Come hanno fatto quelli della mia generazione'.

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