C'era una volta la Roma e non basta prendersela con Banti e Orsato
Sarebbe fin troppo facile prendersela con Banti e Orsato. Oppure con chi fa il furbo in area di rigore. O, ancora, con chi nei salotti tv balbetta ricostruzioni imbarazzanti pur di fronte a immagini eloquenti, perché si prende posizione solo quando la lancetta del populismo è al top. Quando l'opinione è scomoda, invece, meglio sostenere che quel rigore “si può dare” o il giocatore “si lascia cadere” o, addirittura “è bravo nel trovare il contatto”. Ma bravo cosa?
Tutto questo però, nulla c'entra con la pochezza della Roma. Con lo sconcertante conto presentato da una campagna acquisti che ha prodotto un solo, unico risultato: l'inutile tentativo di Di Francesco di assemblare ciò che resta della squadra ereditata da Spalletti con i nuovi acquisti, perlopiù ragazzi di talento ben lontani dall'essere “bravi nel trovare il contatto” con l'essere calciatori pronti, maturi, affidabili. E così ieri a Firenze, mentre Florenzi si accingeva a rimettere in piedi la gara, si è constatato ancora una volta l'inutile apporto di certe scelte operate nell'ultimo biennio che, alla lunga, si stanno rivelando devastanti per i destini e la classifica della Roma. Il sopravvalutatissimo Under _ ottima prospettiva di giocatore e anche molto di più, per carità, ma da queste parti si è arrivati a pesarlo manco fosse Salah _ eppoi tutti quegli uomini invisibili che, magari, davanti a un taccuino fanno i leoni (anzi i lupi) e poi spariscono in campo. Mi riferisco a Kluivert e Schick in particolare, perchè i flop nella Roma come nelle altre squadre, hanno nomi e cognomi. Colpa loro? Colpa dell'allenatore? Colpa di chi li ha scelti? Fate un po' voi. Poi, c'è il misterioso caso di Cristante: davvero è questo il giocatore che serviva alla Roma? Per non parlare degli altri, inutili o inutilizzati, discorso che abbiamo già fatto mille volte. E mi taccio su Karsdorp, giusto per dirne uno.
l punto è che la Roma a metà classifica si vede che è il frutto di compromessi e soluzioni nate per parare errori progettuali che così, tutti insieme, è difficile registrare in un club d'elite. Di continuo, gente trigoriana, mi ha ripetuto nel tempo che io “non capisco, che il calcio ormai è diventato business e le società vanno considerate come un'azienda”. Giusto. Però, per dire, un'azienda di biscotti o lavatrici che sbaglia clamorosamente strategia di investimenti forse le mani sul management ce le mette e magari caccia via qualche dirigente. Ora, nello Roma, non so chi deve assumersi la responsabilità di aver sbagliato i cestelli della lavatrice o l'impastatrice per i biscotti, ma certamente, visto che qui si parla di giocatori acquistati e fin qui poco utili (eufemismo), una riflessione su chi è andato a prenderli negli ultimi due anni va fatta necessariamente. E su chi ha scelto chi è andato a prenderli. Perchè se il calcio è un'azienda come mi hanno raccontato, allora tutto diventa più semplice nel mettere le persone di fronte alle proprie responsabilità. Se non ora, certamente a fine stagione. L'esempio del club-azienda mi sta bene se il patron si chiama De Laurentiis, personaggio non simpaticissimo, ma certamente abile. Ha preso il Napoli in C, lo ha ricostruito, ha venduto a peso d'oro (a peso d'oro, non come certe cessioni da queste parti) campioni (Cavani, Higuain) o presunti tali (Lavezzi) e pian piano ha costruito una squadra che da due anni non tocca gli asset principali (i giocatori: siamo un'azienda no?) e ha preso l'allenatore più vincente al mondo. E ora se ne sta lì, dove merita di stare, perché l'idea è provarci, anche se la Juve è una specie di Godzilla.
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