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C'è il morto, ecco le solite belle parole. Ma è ora di incarcerare i delinquenti
Tutto falso. Falso che non sarebbe successo mai più (eccome se è successo: da Raciti a Sandri fino a Ciro Esposito, ognuno ha pianto i suoi morti). Falso che non ci si possa lasciare la pelle per una partita di pallone, come dimostra la storia di queste ore e la fine di Daniele Belardinelli, tifoso dell’Inter.
I politici: li chiamiamo così non per una superficiale generalizzazione ma perché in questi quasi venticinque anni ce ne sono stati di ogni partito e di ogni colore, e tutti hanno predicato bene senza risolvere nulla. Ebbene, anche stavolta hanno speso belle parole. Chi? Quelli che stanno al governo, come Salvini, che pure degli ultrà è amico e partecipa alle loro feste. E quelli che stanno al governo del calcio, come Gravina, il quale almeno ha l’attenuante di essere appena planato sulla poltrona di presidente federale.
Ebbene, è arrivata finalmente l’ora che i politici facciano qualcosa di concreto. Leggi nuove? Magari sì, ma forse nemmeno servono: basta far rispettare quelle che già ci sono. Bisogna impedire ai delinquenti di avvicinarsi agli stadi: il loro posto è il carcere, non la strada. E non troviamo scuse, non ci nascondiamo, non diciamo che è tutto impossibile e tutto imprevedibile. Fuori dai nostri confini c’è chi ci è riuscito, e molti anni fa, a rendere gli stadi dei luoghi in cui tutti possono andare senza avere paura di non fare ritorno a casa.
Prendiamo esempio dagli inglesi, se serve. Oppure mettiamo in pratica le nostre conoscenze. Ma in modo deciso e decisivo, ora e per sempre. Perché se la gente muore ancora mentre va allo stadio, la colpa non è del calcio (come spesso si sente dire, con un’incomprensibile - questa sì - generalizzazione). E tanto meno è colpa dei milioni di tifosi perbene che allo stadio vanno per vedere la partita, gridare, cantare.
La colpa è di chi, in un quarto di secolo, ha lasciato che i delinquenti continuassero a popolare le strade anziché le carceri.
@steagresti