Buffon come Zoff per l’onore del calcio
Rammento molto bene l’anno, il mese e le circostanze. Se ne era appena andato il mese di maggio del 1983. L’ultima settimana era stata a dir poco orribile. Il 25 notte ero ripartito da Atene come un pugile suonato e con la faccia piena di pugni. Esattamente come le decine di migliaia di tifosi bianconeri che si imbarcavano sui charters per fare ritorno in Italia da dove erano partiti alla volta di Atene con in tasca la sicurezza matematica di poter festeggiare l’unico titolo mai vinto, la Coppa dei Campioni. Inutile ricordare quella notte di cortocircuito fisico e mentale dell’intera Juventus, da Trapattoni a Platini. Fa male ancora oggi. Come non bastasse, cinque giorni dopo a Goteborg, ci toccò un’altra purga. Non era la Juve ad affondare per due a zero, ma la Nazionale del mito e della leggenda meravigliosamente costruite appena l’anno prima in Spagna. Tornato il redazione, a “Tuttosport”, davanti alla “Olivetti” tiravo svogliatamente l’ora della chiusura del giornale per poter andare a cena. Il telefono trillò verso le venti. Questo lo ricordo bene. “Ciao Marco, com’è?”. Voce inconfondibile. “Ola Dino. Dimmelo tu come va, piuttosto. Qui al giornale c’è aria di noia e di funerale. Sono successe troppo cose in così poco tempo e ora si traccheggia e ci si rompe il cervello per trovare un titolo da prima pagina che meriti”. Silenzio. Poi un lungo respiro. Quasi un sospiro sofferto. “Beh, valà che il titolo te lo do io. Lo porti al direttore e vedrai che sarà contento anche se dovrà sbaraccare la pagina già fatta”. Difficile sentire un uomo come lui così informale e quasi intimista. Sono curioso, adesso. “Non dirmi che lasci la Juve per andartene, chessò, al Milan o all’Inter…”. Risata che mi interrompe. “No. Non lascio la Juventus. Lascio proprio il calcio, una volta per tutte. Ho quarantun'anni, forse potrei ancora dare qualcosa, a credo proprio che è arrivato il momento di passare il testimone a quelli più giovani di me. Del resto, vincere più di ciò che ho vinto sarebbe impossibile. Quindi è deciso. Lo puoi scrivere ufficialmente. Un’ultima cosa. Guarda che la notizia l’ho voluta dare solo a te in esclusiva. Non chiedermi perchè. Sarà che dopo tanti anni passati insieme… massì mi stai simpatico”. Il giorno dopo “Tuttosport” era in edicola con un titolo a nove colonne grande così “Zoff dice addio al calcio!”. Fu davvero un grande “scoop”, più meno come quello su e di Edoardo Agnelli qualche tempo dopo.
Negli anni successivi, mi è sempre piaciuto accostare la figura di Luigi Buffon a quella di Dino Zoff non solo sotto il profilo della capacità e della bravura professionali che per ciascuno di loro sono indiscutibili. Il tono della voce, per esempio, suggerita sempre da una rara pacatezza di pensiero. Il saper riflettere prima di esternare anche nel corso delle situazioni più complicate e meno agevoli. Uno stile di vita ed un mostrarsi agli altri privi di eccessi o di stravaganze di solito abbastanza comuni per la razza-portiere. Una coerenza etica autentica a mai costruita. Infine la qualità del “capo”, a prescindere da una fascia intorno al braccio, che tutti i compagni stanno ad ascoltare. Ovviamente, Dino o Luigi, differenti in virtù delle regole e dei valori che contraddistinguono le loro singole generazioni. Eppure umanamente molo simili. Addirittura sovrapponibili per il numero e la qualità dei successi variamente conquistati nel corso delle loro memorabili carriere.
Non so se Gigi Buffon abbia un giornalista “amico”. Forse no, perchè anche rispetto ai rapporti interpersonali tra le due categorie, oggi le cose sono profondamente cambiate e il portiere della Juve e della Nazionale non potrebbe permettersi certi lussi senza incorrere in crocefissione dei media. Vorrei, però, che questa figura di confidente “pubblico” esistesse e che lui si comportasse come fece Dino. Dopo attenta analisi introspettiva, naturalmente. L’età: anni quarantuno sulla soglia. L’ultimo Europeo giocato da pari suo e da campione del mondo, anche se non vinto. Il record di imbattibilità tolto dalla mani di Seba Rossi. L’opportunità, unica e imprescindibile per uno come lui, di evitare il viale del tramonto in mutande e maglietta. La posizione del buon maestro che, con saggezza ed eleganza, si volta indietro e invita chi lo segue da una vita: ”Avanti ragazzi, ora tocca a voi. Fatevi onore”. Tutto ciò potrebbe (e dovrebbe) accadere nel 2017, magari a giugno con la fotografia gigante di Gigi Buffon che, contrariamente di ciò che accadde ad Atene, alza al cielo la Champions. Prima di salutate tutti. L’unica cosa che Dino non riuscì a fare in quella notte da psicodramma ad Atene.