AFP/Getty Images
Bucciantini: la Juve non vuole uccidere il campionato, la Roma non può vincerlo
Il campionato non è né aperto né chiuso: è stanco, stanchissimo. La Juventus non vuole ucciderlo, è una sorta di accanimento terapeutico. La Roma non può rianimarlo perché le sue partite non hanno più forza, raziocinio, ritmo. Per trovare metri di campo è servita l’espulsione di Torosidis: non è un paradosso, è la verità perfino logica. Uno in meno, è aumentato il campo per rincorrere, per correre, per fare i protagonisti. Il gol di Tevez, concomitante, ha tolto quelle remore che gravavano su una squadra troppo lenta per qualunque avversario, figuriamoci per la Juventus, anche se Allegri esce dal campo turbato con i suoi, capaci di gestire l’umore della partita, e gli spazi. Ma divenuti piccoli e paurosi nel finale, perfino cattivelli sì da concedere troppe punizioni dal perimetro, in un momento in cui la Roma non riusciva ad avvicinare la porta.
Così la partitissima sembra misurare due debolezze, anche se diverse, perché la Juventus e la Roma cercavano cose diverse da questa partita, e la Roma, adesso, non può trovarle. Certo, se all’andata fu una cosa piena di tutto, anche troppo, il ritorno è un esercizio risicato, poco coraggio, poca qualità, poca corsa e tanta impressione di fatica. Il pareggio avrebbe potuto accontentare la Juventus ma l’andazzo invece avvelena questo punto. Per la Roma resta una diagnosi misteriosa, con un finale così esuberante da confondere. Ma i giallorossi hanno vissuto questo spareggio con senso di frustrazione crescente, spazzato via solo da quel doppio episodio negativo, così contrario da aver probabilmente liberato le angosce: ormai era tutto perso. La Juventus ha lasciato palleggiare la Roma: un pianto. Ljajic e Gervinho sui lati, dove Totti e Pjanic e Keita trasportavano la palla, e dove si avvicinavano i terzini, ma lo sviluppo era così scolastico e lento che non c’era possibilità di cambiare passo o sovrapporre l’azione.
Per trovare velocità e pericolo, i compagni di reparto di Totti avrebbero dovuto vincere almeno due-tre duelli per azione, anche perché l’assenza di riferimenti d’area permetteva a Caceres e Chiellini di raddoppiare le fasce con serenità. I due attaccanti invece perdevano quasi sempre il primo duello, e lì nasceva il contropiede della Juventus, almeno lineare, ma mai pericoloso. Né centrali di difesa della Roma né De Rossi potevano sostituirsi in impostazione, perché la Juventus non si alzava, impedendo il lancio lungo sulle corse di Gervinho. Totti cercava il suo posto nella partita, poco assecondato dal genio e dai compagni, che attendevano la palla da fermi. Il colpo d’occhio vedeva un possesso palla della Roma, e un possesso del match della Juventus, che però non si accattivava il destino.
Quest’analisi dev’essere stata discussa e condivisa nello spogliatoio bianconero: al rientro in campo, Vidal e Pereyra hanno cominciato a seguire le azioni, lavorando sulle transizioni nate delle incerte e tremolanti linee di passaggio romaniste. Allora la partita della Juventus diviene buona, da ordinata e scientifica che era. Al terzo contropiede ampio, Torosidis inciampa su Vidal: è l’episodio che stura la partita e dimostra come l’incedere della Roma finiva per sbilanciare la squadra, nonostante il campo fosse posseduto con enorme timidezza. Dopo il gol di Tevez Garcia cambia molto, e soprattutto toglie i punti di riferimento “sentimentali” della Roma. Via Totti, via De Rossi (e prima Ljajic): fuori, in sostanza, i beni “rifugio”, che finiscono spesso per diventare gli alibi perfetti per i compagni. Entrano giocatori di temperamento e agonismo. La Roma corre, Iturbe corre (finalmente: la sua freschezza fa la differenza) e la Juventus è così adagiata su un ritmo più tenue, che si spaventa. Tutto qui. Il primo posto sembra al sicuro, la zona Champions è abbordabile da quattro squadre, Roma, Napoli, Lazio e Fiorentina, la classifica le ordina secondo aspettative e possibilità.
Così la partitissima sembra misurare due debolezze, anche se diverse, perché la Juventus e la Roma cercavano cose diverse da questa partita, e la Roma, adesso, non può trovarle. Certo, se all’andata fu una cosa piena di tutto, anche troppo, il ritorno è un esercizio risicato, poco coraggio, poca qualità, poca corsa e tanta impressione di fatica. Il pareggio avrebbe potuto accontentare la Juventus ma l’andazzo invece avvelena questo punto. Per la Roma resta una diagnosi misteriosa, con un finale così esuberante da confondere. Ma i giallorossi hanno vissuto questo spareggio con senso di frustrazione crescente, spazzato via solo da quel doppio episodio negativo, così contrario da aver probabilmente liberato le angosce: ormai era tutto perso. La Juventus ha lasciato palleggiare la Roma: un pianto. Ljajic e Gervinho sui lati, dove Totti e Pjanic e Keita trasportavano la palla, e dove si avvicinavano i terzini, ma lo sviluppo era così scolastico e lento che non c’era possibilità di cambiare passo o sovrapporre l’azione.
Per trovare velocità e pericolo, i compagni di reparto di Totti avrebbero dovuto vincere almeno due-tre duelli per azione, anche perché l’assenza di riferimenti d’area permetteva a Caceres e Chiellini di raddoppiare le fasce con serenità. I due attaccanti invece perdevano quasi sempre il primo duello, e lì nasceva il contropiede della Juventus, almeno lineare, ma mai pericoloso. Né centrali di difesa della Roma né De Rossi potevano sostituirsi in impostazione, perché la Juventus non si alzava, impedendo il lancio lungo sulle corse di Gervinho. Totti cercava il suo posto nella partita, poco assecondato dal genio e dai compagni, che attendevano la palla da fermi. Il colpo d’occhio vedeva un possesso palla della Roma, e un possesso del match della Juventus, che però non si accattivava il destino.
Quest’analisi dev’essere stata discussa e condivisa nello spogliatoio bianconero: al rientro in campo, Vidal e Pereyra hanno cominciato a seguire le azioni, lavorando sulle transizioni nate delle incerte e tremolanti linee di passaggio romaniste. Allora la partita della Juventus diviene buona, da ordinata e scientifica che era. Al terzo contropiede ampio, Torosidis inciampa su Vidal: è l’episodio che stura la partita e dimostra come l’incedere della Roma finiva per sbilanciare la squadra, nonostante il campo fosse posseduto con enorme timidezza. Dopo il gol di Tevez Garcia cambia molto, e soprattutto toglie i punti di riferimento “sentimentali” della Roma. Via Totti, via De Rossi (e prima Ljajic): fuori, in sostanza, i beni “rifugio”, che finiscono spesso per diventare gli alibi perfetti per i compagni. Entrano giocatori di temperamento e agonismo. La Roma corre, Iturbe corre (finalmente: la sua freschezza fa la differenza) e la Juventus è così adagiata su un ritmo più tenue, che si spaventa. Tutto qui. Il primo posto sembra al sicuro, la zona Champions è abbordabile da quattro squadre, Roma, Napoli, Lazio e Fiorentina, la classifica le ordina secondo aspettative e possibilità.