Bucciantini: Fifa, Tavecchio, troppo vile è questa attesa...
Caduti gli ex coloni inglesi, il voto di Dempsey era assicurato al Sudafrica. Le previsioni erano di un pareggio, 12-12, e a quel punto l’assegnazione sarebbe stata decisa dal presidente: Blatter avrebbe scelto il Sudafrica. Per questo si mosse Kaiser Franz. Il delegato dell’Oceania si alzò al momento della votazione e uscì dalla stanza: 12-11 per i tedeschi. Quanto ne uscì arricchito Dempsey non è possibile quantificare, ma molti anni dopo fu lo stesso Blatter a urlare: “La Germania rubò i mondiali agli africani”. Lo disse appena dopo la prescrizione di questa fattispecie di reato ma non stiamo a sottilizzare: nell’estate del 2000 Blatter fu clamorosamente sconfitto. Fece tesoro della lezione, inasprì il suo comando e da allora, l’uso del potere si fece dunque più cinico, più monarchico. I rischi di sconfitta ridotti a zero. Intanto, risarcì le federazioni africane con i Mondiali successivi. Blatter non si può sfidare, non si può discutere. Con un “dividendo” unge ogni federazione calcistica mondiale: appena 500 mila euro l’anno, sembra una cifra simbolica e non sposta di niente i bilanci delle grandi federazioni (che comunque in gran parte non lo votano). Ma è un assegno spesso decisivo per la sopravvivenza (o per i maneggi) delle federazioni periferiche, quella affluite e dismisura nella Fifa: sono più le federazioni calcistiche degli stati ufficiali presenti all’Onu!
Anche l’allargamento delle squadre ai mondiali è una lusinga che amplia la platea dei sogni (e dei voti). Che moltiplica partite (e dunque incassi televisivi, da non disperdere nel rischioso mercato: anche questo monopolio è sotto inchiesta, vi era un nipote di Joseph – Philippe Blatter – a comandare l’agenzia di sfruttamento dei diritti tv). Un sistema che sfrutta la più democratica delle regole: ognuno vale un voto. Ma non si ferma qui: per essere eterno, un dominio finisce per diventare costoso, e nell’accusa del ministro della giustizia degli Stati Uniti d’America ci sono parole irreversibili, irrimediabili: “Una corruzione ventennale, dilagante, sistemica, radicata. Per centinaia di milioni di dollari”, ha detto Loretta Lynch. In questi anni sono stati toccati dalle inchieste di corruzione il suo predecessore (Havelange) il suo sfidante del 2011 (Bin Hamman, per un sistema simile ma “in sedicesimo” rispetto ai piani egemoni dello svizzero). Mentre Blatter è rimasto lassù, sfiorato dalle parole dei campioni (Pelé, Maradona), dalla sfiducia latente ma mai prepotente dell’Uefa (solo adesso realmente agguerrita), dal sospetto degli Stati Uniti: il sistema, però reggeva. Governato nel modo in cui lo descrive Loretta Lynch. Incollato con i dollari, che è mastice fortissimo. È “scoperta” di queste ore la carica di vicepresidente della Fifa a Jeffrey Webb, leader della federazione delle Isole Cayman: un movimento di pochi affiliati, una Nazionale che non ha partecipazioni in nessuna delle competizioni conosciute, e che vanta come miglior piazzamento un quarto posto nella Coppa dei Caraibi del 1995. Una federazione che la Fifa accoglie proprio su pressione dell’allora segretario generale Joseph Batter, nel 1992. Alle Cayman non si gioca a calcio, ma si possono “lavare” tanti soldi: questo lo sanno tutti. Questa era la Fifa. Un sistema di potere poggiato su Federazioni utili ad altro, o deboli e per questo corruttibili e indissolubilmente legate al comando, per loro stessa sopravvivenza. Se c’era da conquistare consenso, e far girare altri milioni, l’argomento poi era sensuale: perfino un Mondiale concepito a 50 gradi all’ombra, per esempio.
Come si rapporta la Figc a questa “corruzione dilagante, sistemica, radicata”, sempre per usare le parole del ministro Usa?
La decenza vorrebbe una netta, subitanea presa di distanze. Macché. Passano le ore, Tavecchio non commenta, si affida a poche parole caute e attendista, mentre l’Uefa cerca il rinvio al voto che sabato dovrebbe rieleggere Blatter alla sua carica papale (a vita) Tavecchio “deciderà solo giovedì (oggi, dunque) dopo aver parlato con l'Uefa di Michel Platini”. C’è chi riconosce in questo dialogo un modo per sciogliersi da Blatter (ma non prima di aver ascoltato cosa offre l’Uefa). C’è chi – come noi – trova questo seppur breve temporeggiamento un modo perdente e vile di procedere. Le accuse mosse a Blatter erano conosciute a tutti. I metodi di governo dell’uomo che rifiutò di premiarci a Berlino, per un rigore dubbio negli ottavi di finale (si dice) e forse per un infantile senso di superiorità dello svizzero verso gli italiani (riguardiamoci Pane e cioccolata, di Franco Brusati, con l’immenso Nino Manfredi), erano questi ed erano palesi nelle scelte compiute e approvate: quelle delle assegnazioni dei Mondiali, quelle sulla gestione delle risorse televisive. Eppure in quel solco si era gettata la Figc di Tavecchio, per attrazione servile verso il potere. Aspettare la magistratura (specie quando è così “telefonata”) è un tratto di opportunismo tipico della poca visione, del poco coraggio, della poca indipendenza e forza. Questa è la Figc.
Che ancora non ha deciso cosa fare. C’è da sperare che si allinei alla richiesta dell’Uefa: quella di rinviare il voto, perché la parte più grottesca di questa vicenda è che nonostante i vertici in galera, la Fifa di Blatter va avanti a passo marziale. Con scontate probabilità di rielezione, con il voto cieco e interessato di federazioni noncuranti della legalità e della moralità. Il voto che avrebbe dato anche Tavecchio, trascinando la Figc e l’Italia a rimorchio di un caudillo che governa il calcio mondiale grazie a una “corruzione dilagante, sistemica e radicata”.
Marco Bucciantini