Bucciantini: all'Inter servirebbe Dybala
Un sabato di prove di forza, una domenica che confonde ambizioni, pregi e debolezze. Non vorremmo ripetere la stessa cosa ogni volta: la Juventus ha ancora margine e la sua stagione è costruita sulla rimonta di Champions contro i greci a Torino. Quella serata sghemba e lottata ha incoraggiato Allegri a sveltire la rinfrescata al gioco: inutile ripetere la Juventus di Conte, senza il suo protagonista maggiore (il tecnico, appunto). Non ha tutti i ruoli coperti come vorrebbe, ma le eccellenze hanno giovato della novità, e quello che è stato perso in intensità è stato guadagnato in classe fra la crescita anagrafica e agonistica di Pogba e i tentativi di proporre Pereyra. La Juventus è meno “violenta” in campo, il possesso palla è preferito al possesso campo. C’è più spazio anche per l’individualismo di Tevez, che quando non è consumato dall’eccesso di partite resta il migliore della Serie A, di una spanna sul resto. Il recupero di Barzagli e Vidal è quell’assicurazione sul futuro che fa accettare anche le alterne condizioni di alcuni uomini chiave, Pirlo su tutti.
Anche la Roma ha frontiere da scoprire, anche perché ha già mostrato le sue debolezze. Il suo limite superiore è stato misurato con cinico realismo nelle sconfitte con Juventus, Bayern e Napoli, ma quello è un valore sconosciuto al resto delle rivali. Dunque, ci sono tanti punti nell’orizzonte di Garcia. Ma le sorti magnifiche e progressive che furono stoltamente immaginate poggiavano su un calcolo errato. Eppure, continuano, indefesse, ripetute da molti colleghi e addetti ai lavori come un mantra: la Roma è più forte dell’anno scorso (che già fece il record di punti). Mica è vero. Al limite, è la stessa. A un’analisi spietata, è inferiore: il miglior difensore centrale se n’è andato, Benatia, rimpiazzato da Manolas: bravura pareggiabile nella marcatura difensiva, ma inferiore in tutto il resto del lavoro in campo compreso i gol, spesso decisivi del franco-marocchino. Il miglior esterno fu Maicon, disperso in un crepuscolo agonistico inquinato anche da comportamenti stravaganti. Cole è un tentativo che ha dato meno del previsto. Il centrocampo è quello: Nainggolan c’è dall’inizio, anziché per sola mezza stagione, ma Strootman è mancato per tre mesi. L’olandese è decisivo, il suo agire senza palla permette agli altri di palleggiare con più protagonismo. Mentre Pjanic pare soffrire il lavoro di raccordo e smistamento che Nainggolan fa con maggiore continuità (anche atletica). L’attacco ha un Iturbe in più e un Totti più vecchio di un anno: a 38 anni, le tasse all’anagrafe si pagano, tutti. E Iturbe, nei pensieri del tecnico e nei fatti, toglie minuti a Ljajic e Florenzi, che finora valgono più di lui, in campo. Dunque, è un acquisto ancora da apprezzare.
È forte la Roma, nessuno lo dubita, ma chi la vedeva (e la vede) favorita per lo scudetto confondeva valori e speranze, quelle che la Juventus pagasse il dopo-Conte, e soffrisse lo stress di annate al massimo dello sforzo. Era un desiderio che valutava le forze altrui prima delle proprie. I recuperi di Strootman, Maicon, e poi Castan (coraggio), e la crescita di Ljajic, giocatore di purezza tecnica, sono tutti argomenti interessanti, e sostanziali. Mancherà sempre il campione indiscusso in attacco, ma l’assortimento proposto per la Serie A basterà in molte occasioni, non tutte. E il punto di forza della Roma, in fondo, è sempre quello: se il campionato non lo vince la Juventus, può vincerlo solo lei. E il secondo posto è un ottimo punto di partenza per arrivare al primo. La Champions lavorerà sui due gruppi, toglierà o aggiungerà ma non è possibile prevederlo. E nemmeno è possibile agganciarlo: la qualificazione agli ottavi può irrobustire la mentalità o logorare le energie fisiche e nervose: davvero, sono reazioni imprevedibili. Ma per ambizione, vogliamo credere che l’avanzamento in Europa aggiunga blasone, e dunque forza, a chi saprà vantarsene.
Il resto è lontano. Il Napoli è così, l’esercizio più inutile e fare il censimento delle occasioni perdute: sono i limiti strutturali della squadra, non semplici accadimenti. Non ha limiti superiori, come la Roma. Ma non sa gestire gli avversari. Nemmeno quelli deboli (e non è il caso del Cagliari), nemmeno quelli comodi tatticamente (ed era il caso del Cagliari, specie sul 2-0). Benitez ha perso l’esterno d’attacco di sinistra, che nei suoi schemi (fosse Insigne o Mertens) era quello che puntava l’area palla al piede, mentre Callejon dall’altra parte taglia senza palla, e Hamsik avanza sullo scambio. Infatti il Napoli non ha saputo dominare quegli spazi, non ha saputo fare possesso palla alto, come capitò a Firenze e con la Roma. Qualche azione prepotente, quasi sempre con Maggio incaricato del lavoro d’ala, ma troppa distanza, anche per il ritorno in campo di Inler (che sa tirare, ma non sa comandare il gioco, né subire gli avversari). Abbiamo cantato le lodi della coppia Jorginho-David Lopez, capace di accorciare il campo verso gli attaccanti, e ieri uno era squalificato e l’altro in panchina: i risultati confermano le nostre impressioni. Giornataccia anche di Koulibaly e Ghoulam, e solito pareggio che spezza l’andatura sul più bello.
La Fiorentina ha cambiato modulo con delicatezza, ma Montella è stato un monumento di onestà nel ricordare che il Verona aveva molte assenze e molti giocatori fuori ruolo, così da perdere troppe sicurezze e troppo campo: lì dentro però Mati Fernandez e Joaquin hanno mostrato classe e personalità. Cuadrado si è mosso di più, senza considerare Gomez - e deprimendo un po’ la partita del compagno - ma attaccando l’area anche senza la palla incollata al piede. Grande novità, premiata con il gol. Inutile sprecare troppe parole per una squadra che da mesi cancella ogni messaggio positivo con un altro contrario: più onesto attendere la prossima, a Cagliari, che stresserà una difesa anche ieri apparsa lenta.
Il derby, allora. Una partita difficile, non c’è continuità nella manovra né del Milan (che pure sembra avere maggiori riferimenti) né dell’Inter. Mancini copre meglio il campo, ma è tradito dagli attaccanti che non riescono a far poggiare le azioni, né a dare personalità. L’impressione è che ovunque manchi classe, non c’è un giocatore che si elevi sopra il 6,5 di valutazione. Menez ha numeri, non prestazioni. Su Torres siamo così ripetitivi da annoiare: non è adatto a questi schemi. Quando attacca la profondità, da centrocampo non lo servono (per carenze tecniche, in attesa di Montolivo, anche se ieri s’è visto il miglior Essien in rossonero), i compagni di reparto pensano in proprio, e anche loro lo cercano con i tempi sbagliati: c’è un’azione simbolica, attorno al 40’: Torres supera in dribbling due nerazzurri, allarga a El Shaarawy e si fionda in area, libero, sul primo palo. Ma El Shaarawy deve prima portare palla verso il fondo, poi rientrare sul destro. Ormai Torres è marcato, il cross è inutile, è per i difensori. L’uso degli esterni con i “piedi” contrari (i mancini a destra, i destrorsi a sinistra) è un’idea molto usata per portare pericoli dai lati verso l’area, ma sfavorisce i centravanti classici, che anche per questo stanno scomparendo a favore di centravanti più “totali”, e non poche squadre (specie di vertice) hanno i goleador dirottati sugli esterni.
L’Inter è faticosa, come sempre, ma ha finalmente speso più uomini nelle azioni. Mancini ha chiesto maggior giro palla, e meno tocchi. Kovacic e Guarin sono abituati a fare diversamente, e hanno sofferto, sbagliando più di quanto meriti il loro talento. Devono esercitare meticolosità, semplicità, saggezza, smerigliare dalle stravaganze la loro azione. Mancini ha scelto loro due per ricostruire (a scapito di Hernanes), e l’idea è medesima a quella che ha visto in campo Obi e Kuzmanovic: sono scelte per dare aggressività rispetto a mediani più statici e orizzontali. Tentativi più giusti dei risultati ma giocare senza sponde in attacco è dura. All’Inter servirebbe un giocatore capace di uscire dall’area, ricevere palla, far respirare la manovra, cambiarle il passo, favorire e assecondare gli inserimenti: questo è oggi Dybala, e questo era un tempo il miglior Palacio.
Marco Bucciantini