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Bucchi e il dramma della compagna: "Ebbe un infarto fulminante davanti a nostra figlia di un anno e mezzo"
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LA TRAGEDIA - “Come ho superato la morte della mia compagna davanti a mia figlia di un anno e mezzo? Si fa. Per mille motivi, nessuno dei quali forse può essere compreso da chi una situazione del genere non l'ha vissuta. La forza è proprio la bambina che non può crescere vedendoti soffrire, non può sentirsi sempre e solo sfortunata perché ha perso la madre in quel modo. E, allora lei, piccola, diventa il tuo mondo. Per i quattro anni successivi non l'ho lasciata mai da sola. Il calciatore e la figlia insieme in giro per l'Italia con una tata per quando facevo gli allenamenti, per le partite. Ma Emily era sempre con me anche al campo. Una tragedia che fai fatica ad accettare senza cadere nella più inutile delle domande: perché è successo a me? Credo che purtroppo la vita a volte sa essere durissima, in quel momento mi sono chiesto se invece di giocare a calcio fossi stato lì, se avessi potuto far qualcosa. Il senso di colpa iniziale è inevitabile. Valentina ebbe un infarto fulminante, non si sarebbe salvata. A Emily siamo stati tutti vicini, le abbiamo raccontato pian piano la verità, lei non ricorda, era troppo piccola. Forse è stato un bene. Io non ho mollato di un centimetro e, come è successo anche in altre situazioni non belle della mia vita, dopo mi sono sentito addirittura più forte”.
GAVETTA – “Sottovalutato? È stata una soddisfazione aver potuto dimostrare a chi non aveva fiducia che si era sbagliato. Per essere all'altezza mi sono sempre allenato più ore degli altri, andavo al campo prima di tutti. Studiavo le punizioni, i calci d'angolo. Resto convinto che il lavoro alla lunga paghi sempre: io ce l'ho fatta così. Sono passato dai dilettanti alla Serie A in un anno. Del resto, anche a scuola era uguale: al liceo scientifico studiavo tantissimo perché non tolleravo le brutte figure. Dovevo avere sempre il controllo della situazione per stare sereno. Ho frequentato anche l'Università mentre giocavo a calcio e studiavo, studiavo...”.
PIANO B – “Se non fossi riuscito nel calcio avrei fatto il giornalista. L'idea me l'aveva data la prof di italiano. Scrivevo bene e lei diceva che i miei lavori erano interessanti, riuscivo a non essere scontato, a fornire domande e dare risposte. Quando ho smesso di giocare un po' l'ho fatto in tv, sia come opinionista che come giornalista”.
DOPING – “Altra batosta, lì mi sentivo impotente. Sapevo di essere innocente ma non potevo dimostrarlo. Presi 16 mesi, poi ridotti a otto. Ancora oggi non so darmi una spiegazione. Up e down, la mia carriera è stata un po' così, ma mi rialzavo sempre mosso dalla rabbia e dalla determinazione che non dovevo mollare”.
MONDO DEL CALCIO – “Nel calcio sei sempre da solo. Vivi solitamente lontano dai tuoi affetti, dagli amici, dalla famiglia, dalla città dove sei nato. Costruisci qualche rapporto che poi non puoi mai tenere nel tempo, quando torni a casa ti rendi conto che ciò che hai lasciato non è più com'era prima. Sei solo perché quando ti aspetti di condividere un dispiacere, una delusione con qualcuno spesso non trovi chi ti aspetti che ci sia. Forse per questo motivo il calcio ti rende anche forte. Io ho superato tanti limiti personali. Una volta mi sono fatto un regalo che è stata follia: comprato senza avere i soldi. Quando Gaucci mi prese al Perugia non avevo una macchina. Il contratto era di 50 milioni, ne avrei guadagnati più o meno 4 netti al mese. All'epoca gli stipendi non erano pagati mensilmente. Non avevo una lira, venivo dall'Eccellenza e comprai una Ford Fiesta 16 valvole, era il mio sogno, ma feci un finanziamento di cinque anni. Non finivo più di pagarla. Le amicizie nel calcio esistono? Esistono i legami forti, pochi. De Zerbi, Pioli: due colleghi che sento vicini".
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Una delle cose più brutte e terribili che possono succedere nella vita. Complimenti per come ha r...