Mora, un genio all'ala: Parma, Samp, Juve, Milan, le donne e un drammatico incidente di gioco a Bologna
Attenzione però.
Mora è nato a Parma ma è nato in Oltretorrente, nella “Parma Vecchia” e questo non è un aspetto secondario.
Lì ci sono nati Arturo Toscanini, Guido Picelli e Alberto Michelotti.
L’Oltretorrente è quello storicamente dei quartieri più poveri e disagiati.
Se nascevi lì, almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale, venivi forgiato quasi sempre nella miseria e per uscirne dovevi avere queste due qualità: una forza di volontà non comune e un grande talento.
Bruno Mora è nato qui, nel 1937, e a lui nessuna di queste due qualità è mai mancata.
La si poteva facilmente notare quando in quei vicoli della “Parma Vecchia” con un pallone di stracci o di cartone arrotolato faceva diventare matti i suoi coetanei con le sue finte e le sue serpentine.
Bruno è orfano di padre. Era un ingegnere e la guerra se l’è portato via.
Il ragazzino con il pallone ci sa fare davvero. Gli inizi sono nella Giovane Italia, squadra storica della città e fucina inesauribile di talenti.
C’è un torneo in provincia di Mantova al quale partecipa anche la Sampdoria.
Quel ragazzo magrolino, veloce come un fulmine e che sa accarezzare e all’occorrenza “frustare” la palla è una spanna sopra tutti gli altri.
La Sampdoria non ci pensa un solo secondo.
Bruno a quindici anni parte per Genova con la sua valigia di cartone.
Va a vivere in una famiglia che lo ospita come accadeva allora.
Vitto e alloggio e qualche soldino in tasca per un gelato o un panino.
Nel 1957, a vent’anni, Bruno Mora fa il suo esordio in Serie A con la squadra ligure.
Il pubblico doriano si innamora immediatamente di lui.
Gioca all’ala. E’ magrolino e sveltissimo. Salta l’uomo con estrema facilità e a discapito di quel fisico minuto dispone di un tiro secco, non solo preciso.
La Sampdoria gioca un grande calcio e dopo una prima stagione tribolata (quella del ’57-’58) nelle due stagioni successive arrivano un quinto e un ottavo posto. In attacco con lui ci sono Cucchiaroni e Ocwirk, due grandissimi calciatori. Nel novembre del 1959 arriva addirittura l’esordio in Nazionale, contro l’Ungheria. Finisce uno a uno e l’impressione destata da Mora non lascia dubbi: l’Italia ha trovato la sua ala destra per parecchi anni a venire.
Oggi come allora un giovane davvero forte in una squadra di seconda fascia ci rimane poco.
E’ la Juventus campione d’Italia in carica che batte la concorrenza degli altri squadroni del nord e inserisce nel suo già fortissimo undici titolare il ragazzo di Parma.
La Juventus rivince lo Scudetto e Mora si inserisce con estrema facilità in un attacco che anche se ha perso Boniperti giunto al capolinea della carriera ha nel gigante gallese John Charles e nel terribile mancino argentino Omar Sivori due fuoriclasse di livello mondiale.
Nella stagione successiva però arrivano problemi di diversa natura. Il primo e più importante è che la Juventus è protagonista di una stagione disastrosa chiusa al 12mo posto e con la seconda peggior difesa del campionato.
Mora ha anche parecchi problemi con Sivori a cui con le sue giocate strappa spesso la ribalta. Le discussioni tra i due sono sempre più frequenti e Mora (nato in Oltretorrente ricordate?) non le manda certo a dire al fortissimo ma spesso arrogante argentino.
A questo si aggiungono voci sempre più frequenti sulla passione di Mora per il “gentil sesso” e per la vita notturna.
E’ un ragazzo giovane, piacente e che dopo l’infanzia e l’adolescenza in miseria ama vivere la vita fino in fondo. Ma le sue prestazioni in campo restano di alto livello e queste voci sembrano più una scusa per poter dare la possibilità alla Juventus di riassestare la sua difesa ballerina cedendo il suo talentuoso attaccante in cambio di un difensore di valore.
A dare questa opportunità sarà il Milan di Nereo Rocco che ha appena vinto il campionato ma al quale non è sfuggita la qualità di questo ragazzo che a parere dell’indimenticabile “Paron” è perfetto per integrare la creatività di Gianni Rivera e l’abilità sotto porta di José “Mazzola” Altafini.
E così Mora si trasferisce al Milan con il libero Sandro Salvadore che nell’estate del 1962 fa il percorso inverso.
Il 1962 è anche l’anno dei nefasti mondiali in Cile dove l’Italia viene picchiata ed eliminata dai padroni di casa del Cile, assecondati da una pavida direzione di gare dell’inglese Aston.
Mora sarà uno dei pochi a salvarsi in quella spedizione riuscendo anche a segnare un gol nella netta vittoria contro la Svizzera.
Nel Milan si inserisce con estrema facilità. Altafini va a nozze con i palloni che Bruno Mora gli serve dalla fascia e con giocatori come Rivera e Dino Sani alle spalle il Milan del “presunto” difensivista Rocco è una macchina da gol.
In campionato non riesce a tenere il passo dei cugini nerazzurri ma già dai primi turni diventa chiaro qual è l’obiettivo dei rossoneri: portare per la prima volta in Italia la Coppa dei Campioni.
I rossoneri riescono nell’impresa battendo in finale i campioni uscenti del Benfica a Wembley.
Il Milan rimane nelle prime posizioni del campionato anche nelle due stagioni successive (un terzo ed un secondo posto) e Mora continua ad essere titolare indiscutibile della Nazionale che si è nel frattempo conquistata un posto ai prossimi mondiali inglesi del 1966.
La stagione 1965-1966 è iniziato in maniera decisamente promettente per i rossoneri.
Nelle prime dodici partite arriva una sola sconfitta e a Mora e Rivera in attacco si sono aggiunti due brasiliani di grande qualità: Sormani e Amarildo con Altafini che invece è andato al Napoli.
Si arriva così al 12 dicembre.
Il Milan gioca a Bologna e l’avvio è tutto dei rossoblu.
Dopo trentaquattro minuti il punteggio è sul due a zero per i padroni di casa grazie ai gol di “Testina d’oro” Pascutti e di Perani.
Il Milan reagisce e su un bel pallone filtrante di Rivera Mora si incunea velocissimo da destra e si presenta da solo davanti a Spalazzi, portiere del Bologna.
Fa una finta e poi si porta verso il centro dell’area facendo passare la palla alla destra del portiere. Quest’ultimo, ormai scavalcato, nel disperato tentativo di fermare il velocissimo numero “7” del Milan allarga la gamba andando a colpire quella sinistra di Mora.
Tutto il peso del corpo è proprio su quella gamba.
L’impatto è terribile.
Ci sono alcuni fotografi dietro la porta che sentono distintamente il rumore di ossa spezzate.
Le nitidissime foto dell’epoca sono ancora oggi per stomaci forti.
La gamba sinistra di Mora è spezzata e piegata in un angolo innaturale.
C’è chi si mette le mani nei capelli, chi si copre gli occhi, chi si china su di lui cercando di portargli conforto.
I Mondiali del 1966 Mora li guarderà da spettatore e quantomeno potrà consolarsi di non aver fatto parte di una Nazionale battuta dalla Corea del Nord ed eliminata ancora una volta al primo turno.
Mora tornerà in campo oltre un anno dopo.
Segnerà quattro reti nelle ultime otto partite (compresa una bella doppietta alla Spal) ma qualcosa nel suo gioco si è perso. Per lui, destro naturale, la gamba sinistra era quella dove si appoggiava per le sue finte e i tiri, per coordinarsi al cross.
Nella stagione successiva parte titolare ma oltre a Kurt Hamrin, la funambolica ala svedese, arriva sulla scena anche Pierino Prati e con Sormani inamovibile al centro dell’attacco Bruno Mora perde via via protagonismo.
Rocco lo adora, i compagni pure.
Gianni Rivera stravede per lui.
Ha solo trentuno anni e il Milan continua ad aspettarlo.
Anche nella stagione successiva, quella dei trionfi in Coppa dei Campioni e dell’Intercontinentale, Mora è ancora nei ranghi.
Giocherà la miseria di tre partite in tutta la stagione. Due in campionato e una in Coppa Italia.
Il calcio di alto livello per lui è storia chiusa.
Ma Mora e dell’Oltretorrente ricordate?
Non molla. Torna nella sua Parma che naviga tristemente in Serie D.
Mora mette anima e corpo per la squadra della sua città.
Non ha più lo spunto di prima dell’infortunio ma ha intelligenza, esperienza e una voglia matta di giocare a pallone. Non riesce a giocare spesso come vorrebbe ma quando lo fa è spesso decisivo.
Dodici presenze e tre reti il suo bottino che aiutano il Parma (allora “A.C. Parmense”) a vincere il campionato e a tornare in Serie C.
Anche l’anno successivo Bruno Mora è in rosa e anche se sempre con il contagocce le sue apparizioni in prima squadra sono sempre importanti.
Segnerà l’ultimo gol tra i professionisti il 4 ottobre del 1970 in una partita vinta dal Parma al Tardini contro il Venezia.
A trentaquattro anni si chiude l’eccellente carriera di un calciatore che nei suoi anni migliori è stato uno degli attaccanti di fascia più forti della storia del nostro calcio.
Uno che meriterebbe di essere menzionato al pari dei Causio, dei Bruno Conti, dei Meroni, dei Claudio Sala e dei Donadoni ma che per gli strani scherzi del pallone viene troppo spesso dimenticato.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Gianni Rivera come detto è sempre stato uno dei suoi più grandi estimatori a tal punto da inserire Bruno Mora tra gli undici calciatori della sua formazione ideale.
Nel 1958 Bruno Mora fu uno degli artefici del successo della Sampdoria nel prestigiosissimo Torneo di Viareggio, vetrina assoluta del calcio non solo italiano.
I “blucerchiati” sconfissero in finale la Fiorentina di Gigi Simoni e Ricciotti Greatti (campione d’Italia con il Cagliari di Riva dodici anni dopo) per due reti a zero con Mora autore del primo gol e fu acclamato come “Miglior calciatore del Torneo”, ai tempi un’autentica consacrazione.
Il suo esordio con la Juventus arriva solo nel novembre del 1960 e proprio contro il Milan. La Juventus uscirà sconfitta per tre reti a quattro ma Mora, autore di uno dei gol bianconeri, conquisterà immediatamente il popolo juventino con il suo estro e le sue accelerazioni.
Al suo ritorno a Genova contro la Sampdoria con la Juventus Mora viene fischiato e insultato da una parte della tribuna … quasi fosse colpa sua il passaggio alla Juventus in un periodo in cui Jean-Marc Bosman doveva ancora nascere.
In quel giorno di aprile del 1961 la Juventus viene sconfitta e l’unica soddisfazione di Mora sarà il gesto “dell’ombrello” indirizzato a quel gruppo di irriconoscenti tifosi.
Ben diversa sarà la “soddisfazione” che l’ala parmigiana si toglierà l’anno successivo.
Vittoria per tre reti a due, tripletta di Bruno Mora con i primi due gol segnati al 2° e al 4° minuto del match.
La spedizione italiana in Cile fu tutt’altro che positiva. Anche con l’apporto degli “oriundi” Altafini, Sivori e Maschio gli azzurri non riuscirono ad evitare l’uscita al primo turno.
Mora però giocò ad altissimo livello a tal punto che nella formazione dei migliori per ogni ruolo stilata dai giornalisti internazionali presenti finì al terzo posto dietro a due “mostri” come il brasiliano Garrincha e il russo Metreveli.
Sulla sua passione per le donne e la vita notturna se ne sono raccontate tante. Una di queste “leggende” (?) racconta che in una delle sue notti brave in giro per Torino con la sua Spider rossa venne visto uscire da un portone che non era quello di casa sua alle prime luci dell’alba da un dirigente juventino che passava di lì per caso.
Mora venne convocato in sede e si giustificò dicendo che era “solo andato a trovare una vecchia parente che viveva in città”
I controlli rivelarono che la parente non solo non era “parente” ma non era affatto vecchia …
Bruno Mora finita la carriera di calciatore intraprese quella di allenatore. Ma non di grandi squadre. No, lui non solo amava Parma e non aveva intenzione di allontanarsi troppo dalla sua città ma preferiva lavorare con i giovani.
Diventa così allenatore nel settore giovanile del Parma e a lui va il merito di aver scoperto e lanciato calciatori del valore di Carlo Ancelotti e Nicola Berti ma soprattutto Stefano Pioli, suo autentico pupillo. L’attuale allenatore del Milan giocava nella Primavera del Parma di cui Mora era l’allenatore.
Nel febbraio del 1983 il Mister della prima squadra, Giancarlo Danova, viene sollevato dall’incarico. La squadra viene affidata a Bruno Mora che alla sua primissima panchina (una trasferta a Carrara) lancia immediatamente in squadra Stefano Pioli, diciottenne già temprato e maturo e nelle cui doti Mora crede ciecamente.
Sarà proprio lui che consiglierà a Giovanni Trapattoni, allora allenatore della Juventus ed ex-compagno di squadra di Mora nel Milan, l’acquisto del giovane difensore parmense che l’anno dopo, nell’estate del 1984 arriverà alla corte della “Vecchia Signora”.
Sulla Gazzetta di Parma c’è una rubrica dedicata ai più forti calciatori dilettantistici della provincia. Molti di loro sono passati dal settore giovanile del Parma.
Chiunque abbia lavorato con lui non ha dubbi. Alla domanda “Chi è stato l’allenatore più importante della tua carriera” le risposte sono quasi un plebiscito: “Bruno Mora”.
Bruno Mora se lo è portato via un maledetto tumore allo stomaco nel dicembre del 1986 quando aveva solo 49 anni.
Poco dopo sarebbe nato il grande Parma, quello di Calisto Tanzi e di Nevio Scala, suo ex-compagno al Milan e del quale Mora sarebbe diventato un referente assoluto vista la sua grande capacità di scoprire e di crescere talenti.
Il destino ha voluto diversamente ma a Parma ci sono due cose di cui sono tutti convinti : che grazie a lui di grandi calciatori Il Parma Calcio ne avrebbe sfornati tanti altri … ma che forti come lui non ce ne saranno mai più.
Questo tributo è stato possibile solo grazie alla preziosa collaborazione, agli aneddoti e al benestare di Nicola, figlio di Bruno, che con la sua squisita cortesia e disponibilità ha reso possibile questo racconto.
Grazie Nicola.